L’Europa sta bruciando: le alte temperature non danno tregua e nelle ultime settimane diversi roghi si sono sviluppati in Italia, Spagna, Portogallo, Francia, e Grecia. In vari Paesi europei sono migliaia gli ettari andati a fuoco e migliaia le persone evacuate. Picchi di temperatura fino a 40 gradi, già registrati perfino a Heatrow, a Londra, e nel Regno Unito, dove il termometro ha ormai superato i 30 gradi contro una media stagionale di 23 gradi. Oltre a favorire gli incendi, l’intensa evaporazione e la mancanza di piogge hanno generato una aridità diffusa che fa temere per i raccolti.
“Lo stress idrico sta aumentando ed episodi di grave siccità che accadevano una volta ogni cento anni si verificheranno ogni 5. Il rischio che le cosiddette bread basket, le regioni dove si produce la maggiore quantità di grano, siano tutte contemporaneamente in crisi e non sia possibile compensare i deficit a livello globale, è alto”, dice Gustavo Naumann, esperto di scienza dell’atmosfera e responsabile sul tema siccità per Fondazione Cima, un ente di ricerca che si occupa di studi ambientali.
“Con Cima abbiamo intrapreso da gennaio Edora (European drought observatory for resilience ad and adaptation), un osservatorio sulla siccità a livello europeo che andrà a quantificare l’impatto nei diversi Paesi e nei diversi settori, dall’agricoltura, all’energia, al trasporto fluviale, al turismo, collegando tutti i settori colpiti dall’emergenza. Creeremo un database di impatto e svilupperemo inoltre di un atlante del rischio di siccità per migliorare le capacità di adattamento, In una situazione come quella che si sta delineando vanno identificate anche delle soluzioni, che non possono essere settoriali, ma devono essere interdisciplinari”, spiega Naumann.
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Naumann ha fatto parte del gruppo di ricerca italiano che ha contribuito alla stesura dell’ultimo rapporto Ipcc sugli impatti dall’adattamento e la vulnerabilità legati al cambiamento climatico. “Abbiamo analizzato le variazioni di rischio in diverse parti del globo, osservando che la siccità prosegue e può rendere del tutto aride molte regioni, – come quella mediterranea – che ora sono semiaride. Con il Centro comune di ricerca (Jrc) europeo un anno fa abbiamo considerato anche i costi economici, in uno scenario di riscaldamento di 4 gradi, potrebbero arrivare a 65 miliardi miliardi di euro per anno, mentre ora siamo a 9 miliardi per anno. Ma anche se ci limitassimo a 1,5 gradi le conseguenze sarebbero evidenti”. Lo scenario inoltre è in continua evoluzione.
“In una ricerca su cambiamento climatico e siccità pubblicata su Geophysical Research Letters abbiamo indagato come cambia la domanda atmosferica di acqua all’aumentare delle temperature a causa dell’evaporazione, un fenomeno che avviene anche se non cambia la quantità di pioggia caduta. Abbiamo notato che il deficit è aumentato di 5 volte in alcune regioni del mondo, sud Europa compreso. I periodi in cui si verifica potrebbero arrivare da 2 mesi a 4 se si arrivasse a un rialzo di 3 gradi. Due terzi della popolazione mondiale potrebbero trovarsi in condizioni sempre più siccitose“, dice Naumann.
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“Le pericolosità naturali però sono tutte collegate. E come tali vanno considerate. Ora c’è la siccità, poi ci saranno le alluvioni. Ma i due aspetti sono facce della stessa medaglia. Poiché fa molto caldo, l’energia si libera in atmosfera, produce un’elevata quantità di vapore acqueo che prima o poi si scaricherà”, fa notare Naumann.
“In questo momento l’attenzione alla siccità è elevatissima. Purtroppo appena inizierà a piovere nessuno ne parlerà più. È invece un tema di emergenza, paragonabile al Covid o alla guerra in Ucraina. Quello che manca è una programmazione. Le società idroelettriche, che hanno uno stretto legame con l’acqua per la produzione di energia, fanno valutazioni rispetto agli scenari futuri. In altri settori, primo tra tutti l’agricoltura, invece, non è ancora così. I progetti relativi agli invasi, i bacini di raccolta dell’acqua, risalgono agli anni 70 e sono ormai datati. Abbiamo visto che posso dare problemi agli ecosistemi ed essendo cambiata la domanda, non sono più adatti a soddisfarla. Dobbiamo invece fare organizzarci in base agli scenari futuri, non basandoci sul passato. I vecchi piani non sono più sufficienti. Il clima non è stazionario e muta in continuazione, velocemente. Dovremmo anche dare un diverso valore all’acqua. Ogni italiano ne usa 200 litri al giorno, mentre in Europa il valore medio è 100. Noi le diamo un basso valore e la sprechiamo, invece di riutilizzarla”, dice Luca Ferraris, presidente della Fondazione Cima.
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Le cause di quanto sta accadendo sono ormai note. La primavera è rimasta asciutta è l’apporto delle precipitazioni è stato scarsissimo. Il problema principale però non è stato questo, ma l’assenza di neve, che ha impoverito la portata dei fiumi. ” Secondo una delle nostre ultime modellazioni, rispetto agli ultimi 15 anni è mancato il 70-80% della neve, soprattutto quella sopra i 2500 metri, che è il serbatoio naturale per i nostri bacini. La sua assenza è ancora più grave perché mentre l’acqua delle piogge si esaurisce nell’arco di alcune settimane, quella dei ghiacciai garantisce un flusso costante. Non è un episodio temporaneo, ma una realtà destinata a peggiorare. Mentre non stiamo vedendo grandi differenze nella quantità di precipitazioni, abbiamo notato che le temperature aumentano più in quota che sulla costa. Dunque la neve si ridurrà ancora”, spiega Ferraris.
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La preoccupazione degli agricoltori è elevatissima. Ma, dicono i due esperti, adattamento è anche cambiare le colture, studiare la diversa necessità di acqua delle varietà, capire i momenti in cui le piante hanno più bisogno per poter intervenire in quelli, non in altri, rendendo più efficiente l’irrigazione. “Il problema del cambiamento climatico è complesso e come tale va affrontato. È necessario un cambiamento sociale”, conclude Naumann.