“I boschi come i fiumi, la fauna selvatica come le falde idriche, gli inquinamenti e l’impollinazione, non conoscono i confini amministrativi di una regione, per cui una tutela differenziata al ribasso su base regionale compromette la conservazione di specie ed habitat. E la tutela dell’ambiente, anche dal punto di vista giuridico, è il presupposto del diritto alla salute”. Così i rappresentanti del WWF e con loro altri esponenti del mondo ambientalista italiano hanno commentato l’approvazione il 18 giugno della legge sull’autonomia regionale differenziata. Perché, se c’è una cosa che non ha bisogno di essere frammentata, è la natura dove tutto è interconnesso. E sembra in effetti difficile considerare l’intero ecosistema e i suoi organismi in modo isolato seguendo confini geografici e politici che nulla c’entrano con le leggi ecologiche. Eppure, spiegano, è ciò che sta succedendo dopo il passaggio della legge nell’Aula di Montecitorio. “La tutela dell’ambiente e della natura oggi subisce una pesante sconfitta e viene sacrificato ancora una volta nel nome della ragion politica” tuonano tutte le associazioni che hanno lanciato l’appello ad una mobilitazione partendo proprio dalle regioni. 

I Livelli di Prestazione (Lep)

Undici gli articoli in cui vengono definite le procedure legislative e amministrative per definire le intese tra lo Stato e Regioni che vedono le loro competenze aumentare su 23 materie. Di queste 14 sono quelle che saranno definite dai Lep (Livelli Essenziali di Prestazione), ossia saranno considerati come settori per cui l’autonomia sarà subordinata ad alcuni criteri minimi garantiti a livello nazionale. Tra questi, rientrano la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la sanità e l’energia. Ma i Lep non garantiscono che non ci siano differenziazioni di diritti dei cittadini a seconda della regione in cui vivono, ma al momento sono solo “virtuali” non essendo ancora definite le coperture economiche. Almeno per il momento. 

Spiegano i rappresentanti del WWF: “Il Parlamento, sordo ad ogni considerazione sia giuridica che scientifica, ha approvato la legge sull’autonomia differenziata trattando la materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema come una qualsiasi altra materia. Ribadiamo che la tutela dell’ambiente è riconosciuto come presupposto del diritto alla salute”. E ancora.  “La tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, pur essendo di competenza esclusiva dello Stato, può essere oggetto di autonomia regionale, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, ma proprio perché di competenza esclusiva dello Stato si sarebbe dovuto seguire una procedura distinta dalle materie che invece la Costituzione dichiara già di competenza anche regionale. Questo ancor più dopo la riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione che ha posto la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i principi fondamentali della Costituzione, riconoscendo la tutela dell’ambiente quale limite dovuto alle attività economiche”.

Il cambiamento climatico e l’Europa

L’inquinamento, l’uso dell’acqua e del suolo, l’emergenza dei cambiamenti climatici con le sue ripercussioni sociali ed economiche. Sono solo tre problemi trasversali alle Regioni, soprattutto quelle confinanti, basta pensare all’inquinamento della Pianura Padana che coinvolge tre Regioni oppure affrontare il tema della siccità per il fiume Po. Così scrive Maria Maranò della Segreteria nazionale di Legambiente: “Si pensi alla grande emergenza dei cambiamenti climatici, con vaste ripercussioni sociali, economiche, ambientali a livello locale, nazionale e internazionale che ha bisogno di coerenti azioni di mitigazione e di adattamento. Nessun territorio si può salvare da solo dagli effetti dei cambiamenti climatici né da solo può realizzare quella riduzione delle emissioni climalteranti o inquinanti di cui abbiamo bisogno. L’idea stessa che si possano avere scelte differenti che riguardano le politiche energetiche, le reti di trasporto, il governo del territorio, la tutela della salute o diverse regole di autorizzazione degli impianti produttivi o delle infrastrutture necessarie ad affrontare la sfida della transizione energetica e produttiva non crediamo faccia bene al Paese, al sistema produttivo, ai cittadini sia che vivano al Nord, al Centro o al Sud. Tra l’altro, viviamo in un contesto in cui alcune di queste materie sono delegate alla competenza sovranazionale dell’Unione Europea e non avrebbe senso né efficacia delegarle ad una o più Regioni“.

L’uso del suolo: strumento di consenso

Spiega Paolo Pileri docente di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano su Altraeconomia che l’autonomia differenziata avrà gravi ripercussioni sull’uso e l’abuso di suolo, che rischia di diventare uno strumento di consenso e attirare investimenti: “Se c’è qualcosa che ha già subito il contraccolpo disastroso di un’autonomia differenziata ante litteram è esattamente il consumo suolo. La liberalizzazione dell’uso degli oneri di urbanizzazione per finanziare in piena autonomia i servizi ai cittadini (che in parte coincidono con i Livelli essenziali delle prestazioni, (Lep) è una prassi già enormemente abusata negli ultimi 30-40 anni. Ed è uno dei principali fattori che ha distrutto paesaggi, svenduto territori e trasformato il suolo (ecosistema fragile e fondamentale) in bancomat e cemento”.


La posta in gioco

Vale la pena fare qualche esempio per capire quale sia la posta in gioco che non è solo l’autonomia su alcune competenze, spiegano sempre gli ambientalisti, ma anche quella fiscale. Giustificandola con la necessità di copertura finanziaria delle materie che verrebbero trasferite alle Regioni. Ricordiamo comunque che Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna in questi anni hanno avviato un confronto con i governi chiedendo il trasferimento dei beni demaniali, una maggiore autonomia su rifiuti, bonifiche, energia e valutazioni d’impatto ambientale e biodiversità.

La Regione Lombardia, in particolare, vorrebbe gestire in piena autonomia l’attività venatoria senza alcun parere dell’organo statale competente (l’Ispra) alla protezione della fauna selvatica che è patrimonio indisponibile dello Stato e che non riconosce i confini regionali. Il Veneto, invece, vorrebbe autorizzare la pesca del novellame nelle zone di demanio marittimo (chiesto anche dalle Regione Emilia-Romagna) e rivendica la potestà legislativa ed amministrativa sulla ricerca e la coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, ma vorrebbe anche acquisire le competenze statali legislative ed amministrative sulla Laguna di Venezia, ma non quelle relative al Mose in modo che i costi di gestione rimangano allo Stato. Il ddl sull’autonomia differenziata – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è un grave errore. In particolare il trasferimento alle Regioni delle competenze e risorse in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, di governo del territorio, di trasporti ed energia abdicando al ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo da parte dello Stato. Tutto questo porterà a scelte territoriali differenti a partire proprio dai grandi e cruciali temi ambientali, come i controlli ambientali, le politiche energetiche e la mobilità sostenibile. Il rischio è che tutti non avranno gli stessi diritti ambientali in un contesto segnato da una crisi climatica che ha accelerato il passo con effetti sempre più evidenti sui territori, con perdite di vita umane e ricadute economiche non indifferenti. Non va poi dimenticato che con questo provvedimento rischiamo di aggravare una disparità tra regione e regione sui temi ambientali. Già oggi il sistema dei controlli delle Arpa cambia da regione a regione, i piani regionali energetici tengono poco in conto le esigenze energetiche nazionali, il potenziamento dell’inadeguato trasporto ferroviario pendolare dipende dai singoli bilanci regionali. Con l’autonomia differenziata queste situazioni rischiano di moltiplicarsi anche su altri temi e di aggravarsi. In questi mesi abbiamo chiesto più volte che venisse avviato un confronto tra Parlamento e cittadini per una riforma equa e giusta ma ciò non è avvenuto. La transizione ecologica in Italia merita una organizzazione istituzionale completamente diversa nel Paese”.