Il turismo è il settore industriale in maggiore espansione e, leggendo i dati appena presentati in uno studio pubblicato su Nature si sarebbe tentati di chiudere ogni altro settore produttivo e puntare tutto su questo giro di affari. Nel 2023 ha prodotto un giro per 9.000 miliardi di dollari (quasi il 10% del GDP globale) ed è stato uno dei settori in più rapida crescita al mondo per dieci anni consecutivi. La sua crescita inarrestabile ha però un costo ambientale. Nel rapporto si legge che tra il 2009 e il 2019 le emissioni di gas serra per questo settore sono cresciute a un tasso annuo del 3,5%. E oggi al turismo si devono almeno l’8% delle emissioni globali.
Spiega Ya-Yen Sun, della Università del Queensland (Australia), tra gli autori dello studio: “Dal 2009 al 2019 le emissioni globali sono cresciute ad un tasso dell’1,5% all’anno. Anche le emissioni dovute al turismo sono aumentate, ma il loro tasso di crescita è stato del 3,5% all’anno. In altre parole le emissioni di questa industria sono aumentate a un ritmo doppio rispetto al resto dell’economia mondiale”.
Ma c’è di più. Il turismo è anche sinonimo di iniquità sociale ed economica: le emissioni dei venti Paesi industrialmente più sviluppati rappresentano i tre quarti dell’impronta di carbonio del turismo globale. In breve: nei Paesi più ricchi si viaggia di più e si inquina di più. L’effetto del riscaldamento globale colpisce però maggiormente i Paesi che meno godono dei piaceri di un viaggio a Barcellona o tra i vulcani d’Islanda.
Il rapporto evidenzia poi che Stati Uniti, Cina e India sono i principali motori dell’aumento delle emissioni per il turismo. Anche la Cina sta scoprendo il piacere del viaggio internazionale e anche domestico: la spesa turistica interna della Cina è cresciuta del 17% all’anno nell’ultimo decennio, e anche questo contribuisce notevolmente alle emissioni globali.
Lo studio conclude perentorio che per raggiungere gli obiettivi climatici posti dagli Accordi di Parigi nel 2015 è necessaria una riduzione delle emissioni di oltre il 10% all’anno, da qui al 2050.
Il problema dell’overtourism
Il turismo è un’onda di piena e alcuni iniziano a sentirsi con l’acqua alla gola, tant’è che ormai l’overtourism è un problema sentito in molte destinazioni internazionali, dall’Artico al Pacifico. Gli esempi di destinazioni sature e che iniziano a non poterne più sono molti. Negli ultimi anni l’Islanda ha conosciuto un boom dell’industria del turismo naturalistico. I benefici economici sono abbondanti, con una crescita nei pernottamenti passata da 1.5 milioni nel 1998 a 10 milioni nel 2023. Ma questo flusso di visitatori lascia una impronta da gigante che si osserva nell’aumento del vandalismo e dei rifiuti, o nella esclusione dei cittadini islandesi dal mercato immobiliare. Allo studio ci sono diverse soluzioni, ma quasi sempre si limitano alla introduzione di una tassa di soggiorno, che non cambia certo i piani di chi investe in un viaggio in Islanda
Il problema è ben noto anche a Venezia, che ha detto stop alla invasione delle navi da crociera in laguna. Venezia ha anche adottato una politica di tassazione più aggressiva nei confronti dei turisti.
Alle Hawaii il numero di turisti in costante aumento sta impoverendo lo Stato delle sue risorse naturali. Cresce anche l’insoddisfazione per l’overtourism ad Amsterdam: si prevede che i visitatori passeranno dagli insostenibili 18 milioni nel 2018 a 42 milioni nel 2030, ovvero più di 50 volte la popolazione attuale. La città sta pensando di non promuoversi più come destinazione turistica nella speranza di passare inosservata nelle agenzie turistiche.
Non è risparmiata neppure la Groenlandia, che fino a qualche anno fa molti avrebbero considerato nient’altro che un enorme blocco di ghiaccio, una destinazione fredda, perfino noiosa. Qui l’inaugurazione del nuovo aeroporto internazionale nella capitale groenlandese di Nuuk ha generato un mix di entusiasmo e di preoccupazione. L’isola non è ancora pronta ad accogliere quello che potrebbe essere un autentico tsunami di turisti ora che sarà raggiungibile con voli diretti da molti Paesi europei e statunitensi. I 140000 visitatori dell’anno scorso, un record storico per il Paese, è ancora una cifra modesta, ma con più opzioni di volo si prevede una crescita.
Un problema irrisolvibile?
L’onda incontenibile del turismo si deve senz’altro a una crescita della domanda, ma le emissioni aumentano anche a causa della lentezza di compiere miglioramenti tecnologici. Spiega ancora Sun: “Gli operatori turistici sono lenti nella adozione di tecnologie migliori o a passare alle energie rinnovabili, e continuano così a dipendere dai combustibili fossili. Ad esempio, nel caso degli hotel, talvolta non sono in grado di implementare sistemi di condizionamento dell’aria più efficienti per ridurre il consumo elettrico. Nel settore dell’aviazione, ciò si vede nella lenta sostituzione degli aerei più vecchi con modelli nuovi ed efficienti dal punto di vista energetico”.
Cosa fare allora per cercare di avvicinarsi alla sostenibilità? Dice lo scienziato australiano: “Il trasporto aereo rappresenta la quota maggiore delle emissioni del turismo. Un modo per ridurre l’impronta del turismo è quello di utilizzare il trasporto ferroviario al posto dell’aviazione, il che potrebbe comportare la priorità dei viaggi nazionali rispetto a quelli internazionali”.
Un approccio diverso è essenziale e sarebbe necessario incoraggiare iniziative che creino valore per tutti i gruppi di interesse anche locali, natura compresa, e limitare invece quelle iniziative e quei business limitati a creare valore per pochi. “Per i Paesi insulari in cui l’aviazione è necessaria, l’approccio più efficace sarebbe quello di ridurre al minimo i viaggi a lungo raggio, attraverso i continenti”, dice Sun. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per il Turismo raccomanda anche di combinare più viaggi in un’unica vacanza più lunga per ridurre l’uso dei trasporti. “In altre parole – conclude l’esperto – vale la pena di prendere in considerazione l’idea di una vacanza più vicina a casa”.