L’enorme quantità di acqua che ha provocato morti e danni in Emilia Romagna non servirà neanche a mitigare la siccità che ha caratterizzato l’Italia in questi ultimi due anni. Il perché lo spiega Erasmo D’Angelis, già segretario generale dell’Autorità di bacino dell’Italia Centrale ed ex sottosegretario del governo Letta con delega anche alle dighe e infrastrutture idriche. D’Angelis, che oggi è presidente della Fondazione Earth Water Agenda e ha scritto il libro Acque d’Italia (Giunti), una summa sulle risorse idriche del Paese, sintetizza così: “In Italia piove tanto, piove male, piove in zone concentrate, ma l’acqua c’è. Noi però non riusciamo a stoccarla, così la siccità italiana è un caso unico al mondo: siamo un Paese in cui piove moltissimo, ma che spreca la maggior parte delle sue acque”.
Vista la scarsità di precipitazioni degli ultimi due anni, si fa fatica a credere a un’Italia ricca di acqua.
“Ci sono i dati – risponde l’esperto – la nostra penisola beneficia di un cumulato di pioggia di 301 miliardi di metri cubi di pioggia all’anno in media. Negli ultimi anni abbiamo avuto un 2019 molto piovoso con 328 miliardi di metri cubi, mentre l’anno scorso ne abbiamo avuto soltanto 220 miliardi. Milano è la città più piovosa d’Europa con 1200 millimetri di pioggia in media e l’Italia tra i 27 Paesi dell’Unione Europea è quinta per precipitazioni dopo Croazia, Irlanda, Austria e Slovenia”.
Ma allora come arriviamo da Milano città più piovosa d’Europa al Po in secca?
“La siccità attuale dipende certo dalla scarsità delle piogge in un dato periodo, poiché quella attuale è la siccità più lunga da quando sono iniziati i monitoraggi a fine ‘800 ed è la prima volta che si protrae per quasi un biennio, però il nostro problema è che pur essendo uno tra i Paesi europei in cui piove di più, siamo quello che immagazzina meno acqua in assoluto”.
Sta dicendo che se avessimo gestito meglio le nostre acque avremmo potuto superare questo periodo di siccità?
“Sì, e abbiamo avuto tutti i segnali per correre ai ripari di fronte a un clima che sta cambiando. Negli ultimi 20 anni abbiamo monitorato nove gravi siccità, mentre prima i periodi siccitosi capitavano all’incirca ogni 15 anni”.
Di fronte a questi segnali cosa abbiamo fatto?
“Niente. Abbiamo continuato e continuiamo a sprecare l’acqua restando il Paese più povero di infrastrutture e con un elevato spreco di risorse idriche. In altre parole, immagazziniamo meno acqua di tutti gli altri Paesi europei, soltanto intorno al 4% delle precipitazioni. Per fare un paragone, la Spagna ne accumula il 15%”.
Quale sarebbe un buon accumulo?
“Per noi un buon risultato sarebbe arrivare almeno al doppio”.
Come si potrebbe farlo?
“Intanto sarebbe fondamentale per noi riuscire a rimettere in sesto circa 120 dighe. In Italia abbiamo 321 grandi dighe che hanno una capacità di accumulo intorno ai 13 miliardi e mezzo di metri cubi, ma in realtà ne accumuliamo circa 8 miliardi e 4 miliardi li perdiamo perché le dighe sono in verifica, collaudo o in ritardo di costruzione. Lo ripeto, c’è un enorme problema per l’infrastrutturazione primaria, che non ci consente di stoccare l’acqua”.
E la rete di distribuzione?
“Siamo stati i grandi costruttori di acquedotti e adesso abbiamo un gigantesco problema di infrastrutture di trasporto. I numeri parlano: per tutti gli utilizzi preleviamo 34 miliardi di metri cubi sui 301 miliardi di metri cubi di precipitazioni, una quantità che può bastare per due Italie. Ma di quei 34 miliardi di metri cubi arrivano a destinazione 26 miliardi, perché perdiamo letteralmente per strada un mare di acqua in 550 mila chilometri di reti di acquedotto obsolete, con cui sprechiamo circa il 40% delle risorse. L’agricoltura utilizza il 50-52% delle nostre risorse, ma ancora, ne spreca tra il 50 e il 70% con tecniche di irrigazione del tutto inadatte a un Paese moderno”.
E quel che rimane dove finisce?
“Resta un 21-22% utilizzato dalle industrie, un’altra area di perdite e sprechi dopo l’agricoltura, dove acqua di altissima qualità come quella di falda viene usata per raffreddare macchinari o lavare automezzi. Dal 26 giugno 2023 scatterranno le nuove regole europee per il riutilizzo delle acque reflue rispetto alle quali siamo totalmente inadempienti e l’Europa ci sanzionerà. Del resto già oggi paghiamo ogni giorno 165mila euro all’Europa per sanzioni che riguardano per esempio la mancata depurazione delle acque di circa 2mila comuni, una cosa da Paese in via di sviluppo. E il paradosso è che quando le acque le depuriamo, spendendo un sacco di soldi, poi non le usiamo per innaffiare, per l’industria, per pulire le strade. Semplicemente le buttiamo in mare”.
Con il Pnrr cambierà qualcosa per rimettere in sesto le infrastrutture? Ci sono finanziamenti previsti?
“Ridicoli: all’acqua è stato dato tra l’1 e il 2% dei fondi. Le attuali infrastrutture derivano dalle ultime grandi opere del Dopoguerra, con il Piano Marshall e la Cassa del Mezzogiorno, tutto si è fermato agli anni ’70. Nella spesa pubblica italiana l’acqua vale tra l’1 e il 2%. Non è più stato fatto nulla, l’acqua è uscita dal bilancio dello Stato, come dalle Regioni, perché dopo la legge Galli del 1994 la gestione di 600mila chilometri di rete idrica per acqua potabile nelle nostre case è stata affidata a tariffa e anche nei Comuni la voce acqua è sparita. Se a questo aggiungiamo una gestione del settore acque frammentato in troppi enti e soggetti diversi, che non si coordinano tra loro, le cause del disastro sono evidenti”.
Sono in pratica le stesse cause del disesto idrogeologico?
“Esatto. Mai come in questo periodo siamo di fronte a problematica evidente per un Paese come il nostro: negli ultimi 15 giorni abbiamo avuto due eventi alluvionali nella stessa area, due eventi estremi seguiti a una siccità estrema. Quando viene giù l’acqua che in genere cade in mezzo anno è evidente che se non esistono strutture adeguate succede il disastro, perché i terreni siccitosi respingono l’acqua e quando sono saturi come ora smettono di assorbirla. Sono tragedie che vediamo da anni e per le quali ci sarebbero azioni di prevenzione. Ma continuiamo a non metterle in atto”.