A Heraklion, la capitale di Creta, c’è un nuovo parco solare made in Italy dove si stanno sperimentando i pannelli fotovoltaici più avanzati del mondo. Non solo sono basati sulla nuova star del fotovoltaico, ovvero la perovskite, ma sfruttano anche grafene e altri materiali bidimensionali. Lo sviluppo e la realizzazione si deve ai ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata, della startup BeDimensional S.p.A., Greatcell Solar Italia, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Istituto di Struttura della Materia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISM) e dell’Università di Siena, insieme all’Università ellenica del Mediterraneo.
La principale qualità di questi pannelli è che consentiranno all’Italia, l’Europa e teoricamente tutto il mondo di emanciparsi dal silicio. Un materiale che per l’altissima domanda, i costi energetici e l’instabilità politica sta condizionando negativamente le produzioni di ogni industria che ha a che fare con transistor, celle solari e apparecchiature a semiconduttori – quindi anche l’hardware dei computer e degli smartphone.
Il tema è caldissimo. Lo stesso vicepresidente della Commissione Europea per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maros Sefcovic, a gennaio ha sollevato il problema delle interruzioni di fornitura del silicio. Storicamente il principale produttore di silicio è la Cina con circa 6,6 milioni di tonnellate all’anno, seguito dalla Russia e dal Brasile con produzioni di rispettivamente 640mila e 430mila tonnellate. Le uniche soluzioni proposte sono di potenziare estrazione, produzione e lavorazione europea, nonché ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime essenziali.
Pannelli di terza generazione
I nuovi pannelli risolvono il problema alla radice accantonando il silicio e giocando la carta dei materiali alternativi, come si evince dall’articolo pubblicato su Nature Energy. “Il lavoro nasce da un progetto comunitario iniziato nell’ottobre del 2013 che ha coinvolto ricercatori e scienziati di ogni paese. Dieci anni di ricerca di base sul grafene e un miliardo di euro di budget hanno consentito di costruire le fondamenta per le tante applicazioni industriali di oggi. E il nostro è uno dei campi di impiego, appunto quello fotovoltaico”, ci spiega Francesco Bonaccorso, cofondatore e direttore scientifico della startup Bedimensional.
Questo però è solo un tassello dei pannelli di terza generazione. “Noi avevamo un problema: non sapevamo come gestire le interfacce delle celle fotovoltaiche innovative“, aggiunge Aldo di Carlo, direttore dell’Istituto di Struttura della Materia del Cnr e Deputy del Work Package Energy Generation della Graphene Flagship. “Sì, avevamo sostituito il classico silicio con la stampa di una cella a cinque strati (layer) di cui quello centrale in perovksite, il materiale diffusamente riconosciuto come la nuova avanguardia, ma mancava un elemento che assicurasse efficienza complessiva”.
Il nodo è che mentre in un pannello fotovoltaico tradizionale la generazione delle cariche e il loro trasporto si concretizza di fatto su un singolo materiale, in quelli nuovi avviene su diversi tipi.
In particolare, quello italiano ha una struttura a sandwich dove vi sono strati con la sola perovksite, che si occupano della generazione, e altri abbinati ad altri materiali che estraggono la carica elettrica.
Il problema fondamentale riguarda la mancanza di un‘interfaccia di dialogo e trasferimento adeguata fra gli strati. Qui la scelta del grafene, che si produce dal processo di esfoliazione della grafite. “L’abbiamo scelto per migliorare il trasporto di cariche verso il fotoanodo (l’elettrodo attraverso il quale entra la radiazione luminosa) e puntato sul disolfuro di molibdeno come interfaccia verso l’altro elettrodo; ed è questa la grande svolta. E poi non esiste al mondo un parco solare con pannelli di questo tipo. Normalmente nelle sperimentazioni di laboratorio si usano celle da 0,1 centimetri quadrati. Noi abbiamo realizzato 400 moduli per allestire nove pannelli pari a complessivi 4,5 metri quadrati”, sottolinea Bonaccorso.
Si parla di una potenza in uscita superiore a 250 W, analoga a quella generabile con 60 celle di silicio cristallino assemblate in un pannello da 160 x 90 cm. Secondo i tecnici, produrre 1 kWh di elettricità con questo parco solare ottimizzato ha un‘impronta ambientale inferiore di circa il 50% rispetto all’utilizzo dei mix di elettricità attualmente utilizzati in Europa. Senza contare il vantaggio di riuscire a gestire meglio i picchi di calore ambientale: nei Paesi caldi l’efficienza di conversione è più elevata rispetto ai modelli tradizionali.
Ancora qualche anno di sviluppo
Il risultato raggiunto dal team di ricerca fa ben sperare per il futuro. La tecnologia ha dimostrato di funzionare; l’efficienza attuale è al 18% contro il 26% del fotovoltaico tradizionale. “Però sono convinto che si possa fare meglio e superare la tecnologia al silicio. E poi il controllo totale della filiera produttiva sarebbe una svolta epocale, specialmente in questo settore. La stampa delle celle potrebbe essere fatta in Italia o comunque in Europa “, sottolinea Bonaccorso.
Per quanto riguarda il ciclo di vita si è rilevato che l’evaporazione dell’oro nell’elettrodo posteriore è probabilmente l’elemento più critico. La soluzione è nella sostituzione di questo componente con il grafene, e BeDimensional sta lavorando per farlo. L’ultima criticità riguarda la struttura della perovskite che oggi contiene atomi di piombo; anche questa problematica può essere superata e diversi gruppi di ricerca stanno focalizzando gli sforzi in questa direzione.
“Avremo un prodotto commerciale non prima di tre anni, ma sono fiducioso perché si parla di un’emancipazione totale da produttori storici, la possibilità di impiegare macchinari europei e la prospettiva di ridurre anche l’impatto ambientale. Il silicio richiede un’altissima temperatura per la sua lavorazione e la creazione di un wafer. Un costo energetico che potremmo ridurre ulteriormente con il fotovoltaico a perovskite”, conclude Di Carlo.