Collaborazione tra enti e istituzioni diverse, tecnologia, più sorveglianza e informazione capillare per far capire l’importanza e le sfide di una gestione efficace delle aree marine protette. I punti fondamentali del suo programma Giulia Visconti, neodirettrice dell’Area Marina Protetta “Capo Milazzo”, in provincia di Messina, li aveva esposti nel convegno sulle aree protette organizzato da Marevivo e Wwf “Valore Natura” a Roma il mese scorso. Di fronte al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e al ministro del mare Nello Musumeci, l’esperta per le aree marine protette di Marevivo, insieme a Giulia Prato responsabile mare del Wwf, aveva sottolineato le esigue risorse finanziarie, di personale, e le pastoie burocratiche che ostacolano la gestione efficace delle aree marine protette.
Ora Visconti è ufficialmente in carica come direttore dell’AMP Capo Milazzo, ma più che un nuovo lavoro quello che l’aspetta è la naturale prosecuzione di un percorso iniziato da tempo. A 41 anni, Visconti ha maturato un’esperienza invidiabile per conoscenza dell’ambiente marino mediterraneo e delle politiche di conservazione delle aree naturali. “Studiare il mare, proteggere l’ecosistema marino è sempre stato il mio interesse principale – dice – Mi sono laureata in scienze naturali e poi ho completato un dottorato in biologia animale con indirizzo in ecologia marina a Palermo. Studiavo i ricci di mare, sempre in riferimento alla corretta gestione delle aree marine protette e delle sue risorse”.
Essere siciliana ha avuto un’influenza sulla scelta dei suoi studi?
“Hanno influito in egual misura la mia famiglia e la terra che conosco meglio. Abbiamo sempre vissuto tra campagna e mare, i primi libri di scienze naturali li ho divorati a nove anni, mia nonna, laureata in chimica e fisica poi insegnante di matematica e scienze, mi ha insegnato a osservare l’ambiente. Mia madre da impiegata regionale si occupava di valorizzazione del territorio e mi portava con lei in missione. Mio padre, tra i tanti lavori, ha fatto anche il pescatore professionista, in tempi non sospetti già attento ai principi di una pesca sostenibile. Mio fratello è ricercatore in biologia marina in Inghilterra e anche mia sorella, che lavora nel cinema, mantiene un legame fortissimo con la natura. E non ho lasciato mai la Sicilia se non per brevi periodi, la considero una terra magnifica ma maltrattata e quindi da curare”.
Il suo apprendistato come ricercatrice nelle aree marine protette ha sempre puntato sulla collaborazione tra enti diversi. Che esperienze ha avuto in questo campo?
“A parte la mia adesione a Marevivo, ho lavorato con associazioni locali, con l’ISPRA, CoNISMA, con diverse università nazionali ed estere, con la Stazione Zoologica di Napoli. In tutte queste esperienze ho puntato sul lavoro in campo e sulla divulgazione. Oggi noto con soddisfazione che le persone con le quali ho collaborato in passato e ancora collaboro mi considerano un punto di riferimento nelle attività di gestione e progettazione per le Amp. Questo legame è fondamentale per portare avanti non solo la ricerca, ma soprattutto per condividere i dati raccolti e le esperienze affrontante, un aspetto su cui lavoro da sempre: non ha senso tenere per sé i risultati, l’effetto campana di vetro non porta a nulla di buono, non serve a migliorare”.
A questo proposito, nella sua relazione al convegno ha più volte fatto riferimento alla necessità di mappare con precisione le aree marine da proteggere. Come?
“Stiamo facendo progressi, anche se è ancora molto difficile avere una visione sistemica delle strategie da attuare. Grazie all’attuazione della Marine Strategy Framework Directive e con i fondi del PNRR si sta tentando, a 30 anni dalla legge quadro sui parchi naturali, di consolidare la protezione dell’ambiente marino, con il coordinamento di ISPRA, CNR e del ministero. La maggiore difficoltà deriva dal fatto che se si parla di mare vengono coinvolti otto ministeri: è necessario costituire un sistema nazionale di coordinamento. Come già detto, abbiamo tanti dati, ma sono sparsi e non organizzati, per cui lo sforzo da fare è quello di uscire dagli orticelli di ciascuna AMP e puntare a una visione di sistema”.
È questo l’obiettivo principale della sua direzione?
“È tra i principali. Partirò dal sistema regionale sperimentato in Sicilia, a cui afferiscono 7 AMP, al quale ha appena aderito Capo Milazzo. Stiamo già cercando di ottenere delle linee guida uniche ad esempio per la comunicazione di quel che facciamo, in modo che sia evidente il sistema di scambio tra i vari enti gestori delle AMP (consorzi e comuni). Il modello siciliano comincia a dare i suoi frutti, l’anno scorso tutte le Amp siciliane grazie al RAMPS, la “Rete delle Aree Marine Protette Siciliane”, hanno contribuito alla redazione del PAF (Priority Action Framework) per la Rete Natura 2000, completando le misure e gli interventi attivi per l’ambiente marino mancanti fino al 2020. La Sicilia è la prima regione che ha soddisfatto le misure d’attuazione con questo tipo di contributo e non è un risultato da poco, perché ci consentirà di usufruire dei fondi europei per le misure attive di protezione in ambiente marino previste con la programmazione 2021-27″.
Proprio la mancanza di risorse finanziarie è stato un punto cruciale nella sua relazione per Marevivo e Wwf. Bastano i fondi europei?
“Rispetto ai parchi nazionali le Amp subiscono una legge, la 394/91, che necessita di un urgente aggiornamento, per esempio, nella possibilità di assunzione di personale specializzato. Non siamo in grado di garantire una squadra per la protezione e gestione se il solo personale garantito dai fondi ministeriali è la figura del direttore. E come se non bastasse, le risorse trasferite all’anno alle 29 AMP e ai 2 Parchi sommersi ammontano a poco più di 7 milioni a fronte dei circa 70 milioni trasferiti ai 24 Parchi Nazionali. Di fatto, la maggior parte delle risorse ciascuna AMP le recupera attraverso la progettazione su bandi europei, nazionali e regionali in partenariato con altri soggetti. Però non si vuole polemizzare su quel che manca, bisogna trovare invece soluzioni utili e veloci. Ad esempio è fondamentale la sorveglianza, ma bisogna avere e formare gli addetti, con un’interlocuzione continua e più efficiente attraverso tavoli di co-gestione più strutturati. Bisogna aggiornare il sistema e non possiamo restare indietro: l’Italia come normativa è molto più avanti di altri stati mediterranei, che per esempio non contemplano le zone di protezione totale, dobbiamo solo portare avanti quel che abbiamo”.
Ha citato la sorveglianza. Uno dei nodi cruciali è la coesistenza di attività come la pesca con la necessità di protezione. E non basta vietare e reprimere.
“La sorveglianza è difficilissima perché in mare non ci sono barriere e l’infinità si sviluppa in tre dimensioni, non abbiamo come nel parco strade o sentieri ben delimitati, che ti danno un’idea dello spazio, in un’area marina è assai difficile far comprendere che tutto l’ambiente è protetto. Chi è in barca spesso non ha presente quel che c’è sotto, perché l’ancora non va buttata in un certo posto, o perché i motori devono andare a velocità ridotta, e questo purtroppo è difficile da fare comprendere ai sindaci dei comuni rivieraschi. Le AMP e la guardia costiera spesso con le risorse che hanno non riescono a prevenire adeguatamente o ad intervenire prontamente per fermare le violazioni. Per quanto riguarda i pescatori, è un tema molto complesso anche perché dipendiamo come comparti da due ministeri che spesso non parlano tra loro. Ma spesso i pescatori sono più avanti di noi anche solo per le esperienze sul campo, è fondamentale coinvolgerli nelle attività di protezione e le AMP lo fanno ad esempio quest’anno attraverso i fondi FEAMP“.
E qui entra in gioco la divulgazione, su cui lei punta molto.
“La mia è una figura di equilibrio, da un lato devo gestire un territorio in termini di protezione, dall’altro devo cercare di valorizzare le sue risorse e aumentare le sue potenzialità. Per questo è fondamentale aumentare la consapevolezza sulle molteplici azioni da intraprendere e trasferire queste conoscenze in maniera più capillare possibile. Quando faccio i seminari all’università o durante le riunioni con tutti i soggetti coinvolti delle AMP, resto sempre sorpresa dalle tante domande che mi vengono rivolte su quel che si può fare in un’area marina protetta, perché pensano sempre si tratti di una zona chiusa, invece nel termine ‘gestione’ sono insite moltissime possibilità di confronto e sviluppo”.
C’è un termine che definisce il suo mandato da direttrice e la sua visione del mondo?
“Sì, ed è ‘sinergia’. La collaborazione è una delle cose più importanti che ho imparato in questo percorso lungo, nonostante sia giovane. E non evidenzierò mai abbastanza il valore dell’umiltà. Ho sempre bisogno di esperti che sanno più di me: posso avere competenze in materia di Posidonia, di tartarughe o cetacei, ma se ho bisogno di approfondire chiamo gli esperti per confrontarmi e trovare le soluzioni più adeguate. È stata la mia carta vincente, la mia politica, non in senso stretto, nel senso di politica sociale dell’inclusione. Le soddisfazioni maggiori arrivano quando per esempio mi chiamano i pescatori di Lampedusa, con i quali ho fatto lavori meravigliosi, o i diving, o altri colleghi, per avere consigli o supporto nelle attività, per collaborare. Non mi pongo limiti nel cercare collaborazioni, se non quelli di sinergie che sono nell’interesse di tutti”.
C’è qualcosa che si augura non succeda con questo suo nuovo incarico?
“Sì, ne parlavo con mia madre e con Carmen Di Penta, direttrice di Marevivo. Spero proprio che non venga enfatizzato solo l’essere la prima donna a ricoprire questo ruolo, ma di quanto sia necessario valorizzare le competenze che abbiamo per migliorare la qualità del nostro mare”.