Vietato sorprendersi. All’indomani del ritrovamento di una tartaruga liuto nel mare della Versilia, fatalmente incastrata nella cima di un contrappeso subacqueo che le si è attorcigliato al collo e a una delle pinne anteriori, le riflessioni sull’impatto antropico nei nostri mari – a danno di rettili e cetacei – è sempre più attuale. Perché il sacrificio dell’esemplare – 300 chili di peso, due metri di lunghezza, avvistato nell’area nei giorni precedenti mentre nuotava – non è che la punta di un grande iceberg.Di queste ore è il ritrovamento, lungo il litorale di Livorno, della carcassa di un delfino: avrebbe, secondo le prime ricostruzioni, ingerito della plastica o i residui di una rete da pesca. Appena un mese fa lo staff di TartaLazio aveva recuperato nel mare di Ostia un altro esemplare morto di tartaruga liuto, morto per cause ignote: anche in questo caso fortemente sospettato, però, l’ingerimento di plastica.
Impigliati nei rifiuti
Insomma, l’uomo c’entra (quasi) sempre: catture accidentali, reti fantasma, plastiche e microplastiche, gli effetti del diportismo selvaggio, tra collisioni e inquinamento acustico.“I casi sono numerosissimi”, annuisce Andrea Affuso, che coordina il Turtle Point della Stazione zoologica Anton Dohrn, il più grande ospedale per tartarughe marine d’Italia. Qui, in particolare, arrivano decine di Caretta caretta: pagano le conseguenze dell’imbrigliamento con lenze o cordami, dell’ingerimento di plastiche e in generale rifiuti e, ancora, della collisione con imbarcazioni da diporto. Sono decisamente più diffuse della liuto, come dimostra il boom delle nidificazioni nel corso di quest’estate. “Molte arrivano da noi in condizioni disperate, costringendoci a interventi d’urgenza e a prevedere lunghi periodi di cura e riabilitazione, prima dell’eventuale rilascio in mare. – spiega ancora Affuso. – Per fortuna negli ultimi anni la collaborazione dei pescatori artigianali si sta rilevando proficua”.
Il lavoro dei volontari e pescatori
Proprio qui, lo scorso dicembre, era per esempio arrivata Piattella, una tartaruga “disabile” priva di entrambe le pinne anteriori, autoamputatesi a causa proprio dell’imprigionamento in una corda sottile, quasi certamente una lenza: andò meglio, a lei, rispetto alla tartaruga liuto morta in Versilia, complice il recupero da parte dei volontari di Enpa Salerno. Non potrà però tornare in mano: sarà forse dirottata in un acquario. Era andata bene, a giugno, a un’altra Caretta caretta, salvata dall’organizzazione Blue Conservancy a Punta Pellaro, in provincia di Reggio Calabria: era rimasta intrappolata in un sacco di plastica e aveva un amo in bocca, un caso decisamente emblematico.
L’enorme tartaruga morta in Versilia
E dunque il drammatico epilogo del viaggio della tartaruga liuto nel Tirreno centrale non può dirsi un evento disatteso. “Da circa 25 anni, i nostri volontari in Toscana si adoperano per salvaguardare la biodiversità marina e solo pochi giorni fa si sono occupati della liberazione in mare di tre tartarughe marine”, spiega in una nota il Wwf, il primo a diramare la notizia della morte della liuto, mercoledì scorso, intervenuto con, il personale della sezione operativa della Guardia di Finanza di Marina di Carrara per il recupero del corpo, già indirizzato all’istituto Zooprofilattico Sperimentale di Pisa, che insieme all’Arpat di Livorno e all’Università di Siena lo analizzerà per accertare le cause della morte.
“Un ritrovamento, provocato – involontariamente o consapevolmente – ancora una volta dall’attività umana, che rappresenta una enorme perdita per la biodiversità dei nostri mari e la tutela delle grandi specie che li abitano”, commenta ancora l’associazione, che nelle scorse settimane aveva peraltro lanciato un nuovo allarme sul Mediterraneo, considerato la sesta grande zona di accumulo dei rifiuti plastici al mondo. “Colpa dei rifiuti ma anche degli attrezzi fantasma – reti e altri attrezzi da pesca abbandonati – che diventano anche trappole mortali per tartarughe, cetacei e squali”, spiega l’associazione.
Sensibilizzare l’opinione pubblica
E proprio in Toscana come lungo le coste di tutta Italia continuano senza sosta, come ogni estate, anche le numerose attività di monitoraggio alla ricerca delle tracce di nidificazioni di tartarughe marine: con l’inizio delle schiuse, eventi spettacolari cui un numero sempre maggiore di turisti riesce ad assistere in spiaggia, l’auspicio è che “aumenti anche il grado di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli stakeholder sulla necessaria tutela per questi straordinari rettili, sempre più presenti nei nostri mari”, dice Sandra Hochscheid, una vita al servizio delle tartarughe marine con la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Portici, impegnata in questi giorni nel monitoraggio dei nidi sulle spiagge della Campania. “Il 95% delle tartarughe che recuperiamo in mare, o che finiscono nel nostro Turtle Point, paga direttamente o indirettamente l’effetto di azioni antropiche. Sono decisamente pochi gli esemplari in difficoltà per cause o patologie naturali”.