Le giacche outdoor per bambini, comunemente acquistate nei negozi oppure negli store online, in molti casi possono contenere PFAS – un vasto gruppo di sostanze chimiche con diversi gradi di nocività per l’organismo umano – in percentuali superiori a quelle fissate dai parametri dell’Ue.

 

Uno studio condotto da Bund, associazione tedesca per la protezione dell’ambiente e della natura, insieme ad altre 14 organizzazioni di protezione ambientale, infatti, ha rivelato che il 63% del campione di giacche selezionate contiene PFAS, acronimo di sostanze perfluoroalchiliche, molto diffuso nell’industria tessile, per rendere i capi di abbigliamento resistenti all’acqua, al grasso e alle macchie; ma queste stesse sostanze sono usate anche per imballaggi alimentari ed utensili da cucina antiaderenti, tra cui le pentole.

In realtà, già negli anni Cinquanta, è iniziato il ricorso ai PFAS, ma con la diffusione globalizzata di capi di abbigliamento venduti a prezzi sempre più low-cost, l’utilizzo è divenuto massiccio, con conseguenze importanti a livello ambientale, proprio per la loro forte resistenza ai processi di degradazione naturale oltre alla tendenza ad accumularsi negli organismi viventi. E questo è il segnale più inquietante, ricollegandosi allo studio tedesco sulle giacche a vento destinati ai più giovani.

 

Infatti, si legge sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che “l’accumulo dei PFAS nell’organismo umano ha effetti tossici e può essere correlato a patologie neonatali, diabete gestazionale e, in caso di esposizione cronica, formazione di tumori. Alcuni PFAS sono stati classificati anche come potenziali interferenti endocrini”.

 

Nel dettaglio, lo studio tedesco ha analizzato 56 modelli di giacche e 16 altri campioni di abbigliamento, come grembiuli, magliette, costumi da bagno e pantaloni, destinati a vari paesi del mondo, molti dei quali in Europa –  tra cui Germania, Polonia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, anche il Regno Unito – ma non al mercato italiano. Ma questo non deve allarmare meno, perché con la globalizzazione, gran parte dei brand internazionali vendono i loro prodotti su tutto il territorio del vecchio continente.

 

Se il 63% delle giacche testate è contaminato da PFAS, ben il 29% supera i limiti consentiti dall’Unione Europea, ovvero 16 campioni di giacche, mentre il 37% del test, cioè 21 giacche, era privo di cancerogeni PFAS, a dimostrazione del fatto che esistono alternative sicure sul mercato, pur riparando da freddo e pioggia, ma senza intaccare la salute dei più piccoli.

 

Addirittura due costumi da bagno provenienti dall’India avevano livelli superiori ai limiti di sicurezza proposti dall’UE. Il PFOA, una sostanza chimica nota per la sua elevata tossicità, era il PFAS più comune nei prodotti, è stato trovato in 17 giacche, nonostante il suo divieto in Ue a partire dal 2020.

 

Altro dato allarmante evidenziato dalla ricerca è la disparità regionale nella diffusione di prodotti con PFAS potenzialmente nocivi; le giacche per bambini provenienti dall’Europa dell’Est, infatti, presentavano tassi di contaminazione più elevati rispetto a quelli provenienti dall’Europa centrale e dalla Scandinavia, dove i prodotti sostenibili sono più diffusi e richiesti.

 

Il dossier tedesco suggerisce, dunque, di impostare soglie legislative uniformi a livello europeo e negli Stati Uniti, ed evitare che vi sia – come ora – una differenziazione su base locale o nazionale, affinché siano più rigidi e sistematici i controlli sull’utilizzo di PFAS nei vestiti specialmente dei bambini (ma non solo) al fine di ridurre o eliminare le emissioni di PFAS nell’ambiente.