Un piano complessivo per cambiare le strade in Italia e un miliardo e 154 milioni di euro per metterlo in pratica. Il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili guidato da Enrico Giovannini pubblica le linee guida per fare in modo che gli spostamenti in bicicletta diventino normalità. Si chiama Piano generale della mobilità ciclistica ed è una visione di insieme da qui al 2024 su come e dove bisognerà impiegare i soldi già stanziati con i vari decreti a partire 2018, 754 milioni, e quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che sono altri 400. Sguardo di insieme, con l’ambizione di essere organico, che va al di là dei semplici incentivi o del solo aumento a macchia di leopardo delle ciclabili. Dovrà però esser trasformato in realtà, con l’elenco preciso degli interventi, nei prossimi sei mesi.
“E’ un documento strategico, una visione di insieme”, racconta Riccardo Capecchi, 57 anni originario di Perugia, consulente del Ministero delle infrastrutture che per conto di Giovannini ha seguito il progetto. “Una visione per il prossimo futuro ampiamente condivisa e trasversale alle varie amministrazioni con risorse già stanziate”.
Nel documento di 160 pagine si parla fra le altre cosse di riduzione della velocità a 30 chilometri orari nei centri urbani per abbattere del 45 per cento le vittime causate dagli incidenti stradali entro il 2030; la realizzazione di 565 chilometri ciclabili nei capoluoghi di provincia e nelle città passando dagli attuali 23,4 a 32 chilometri medi per ogni 100 chilometri quadrati di superficie; aumento di delle ciclovie turistiche con l’aggiunta di altri 1250 chilometri all’interno della rete Bicitalia che è collegata a sua volta a quella europea Eurovelo; di avere almeno un quarto dei treni, autobus e vagoni della metropolitana con spazi per il trasporto delle bici; di dotare di parcheggi per biciclette, a volte coperti e custoditi, uffici pubblici, scuole e università, ospedali, stazioni ferroviarie, fermate della metropolitana con un adeguamento annuo di almeno il 25 per cento degli edifici; di aggiornamento della parte normativa in materia urbanistica, edilizia e mobilità; di integrazione delle infrastrutture in modo che si abbia una rete organica che copra l’intero Paese tale da permette di ridurre in maniera significativa l’uso della macchina fino ad arrivare ad avere un 20 per cento di persone che sfruttano l’intermodalità, magari lasciando la vettura in una stazione all’entrata della città per poi sfruttare la rete di “autostrade ciclabili”.
I 1154 milioni di euro previsti, che come dicevamo sono la somma dei 754 milioni già messi in campo dai vari provvedimenti negli ultimi quattro anni con l’aggiunta di 400 milioni del Pnrr. Nell’Allegato Infrastrutture, mobilità e logistica, al Documento di Economia e Finanza (Def) di maggio si era parlato invece di 2,6 miliardi poi evidentemente ridotti a 1,1.
Nel complesso 716 milioni sono destinati al potenziamento delle ciclovie turistiche, sono venti in tutto e vanno da quella Tirrenica a quelle della Magna Grecia, dell’Acquedotto Pugliese e della Sardegna, e 438 per le aree urbane e metropolitane. La zona di Roma ad esempio dovrebbe ricevere 19,6 milioni di euro, Milano invece circa 13, 1, Napoli 11,2. Seguono Torino (9), Palermo (5,5), Bari (4,8), Bologna (4,6), Firenze (4,6), Genova (4,4), Catania (3,9), Venezia (3), Messina (3), Reggio Calabria (2,4), Cagliari (1,6). Sono previsti investimenti per tutte le città con più di 50mila abitanti.
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“E’ la prima volta che si scatta una fotografia complessiva e si organizza il da farsi di conseguenza”, commenta Massimo Ciuffini, coordinatore dell’Osservatorio Nazionale sulla sharing mobility, promosso dal Ministero dell’Ambiente, da quello dei Trasporti, e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Classe 1966, è anche lui di Perugia. “Specie per quanto riguarda le ciclovie turistiche che in questo modo diventano una rete nazionale. Sulla parte delle città, nodo fondamentale, forse si poteva fare di più in termini di obiettivi e di risorse. Va anche però detto che i tempi sono stretti e questo ovviamente non aiuta. Si rischia di essere da un lato poco ambiziosi o dall’altro irrealistici”.
La proporzione fra risorse stanziate per le ciclovie turistiche e le infrastrutture urbane lascia in effetti qualche perplessità. E’ vero che i tratti da realizzare per le seconde sono di più, ma per una parte si tratterà di inserire degli spartitraffico sulla rete esistente. Di buono, oltre ad aiutare il turismo, c’è il fatto che percorsi simili potranno essere sfruttati anche dai residenti per spostarsi in provincia. Un suggerimento del piano che sicuramente farà discutere è quello del limite a 30 chilometri orari in città. Una formula già applicata in metropoli europee come Parigi e Bruxelles difficile però da far digerire da queste parti. Eppure, per quanto possa apparire troppo bassa, è quella la velocità media alla quale già oggi si viaggia in città. Si tratta quindi di un limite che non aumenta i tempi di percorrenza ma riduce di molto gli incidenti e i pericoli per i ciclisti. Non è un dettaglio da poco in un Paese come il nostro che ha il numero, relativamente ai chilometri di strade, più alto in Europa di morti su bici stando all’ International Transport Forum dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Ma il vero punto interrogativo, considerando le elezioni alle porte, restano i tempi di realizzazione. “In teoria il Piano generale della modalità ciclistica dovrebbe essere discusso con tutte le associazioni e le amministrazioni coinvolte e poi messo in pratica nell’arco di sei mesi. Anche perché ha raccolto adesioni a trecentosessanta gradi”, conclude Capecchi. Vedremo se si procederà davvero in maniera tanto celere e organica. Per quanto riguarda i fondi del Pnrr, 400 milioni, non si potrà comunque andare oltre il 2026.