C’è chi dice che finirà nel 2022, chi si spinge fino al 2024, chi si colloca a metà strada e indica nel 2023 il momento in cui il mercato tornerà alla normalità. Da qualsiasi parte lo si guardi il problema, l’unica cosa certa al momento è che la crisi dei chip continua ad impattare pesantemente a livello mondiale su tutte le case automobilistiche che in questi mesi hanno affrontato tempi di produzione e approvvigionamento di semiconduttori più elevati, aumento dei prezzi e arresti della produzione.

Emblematico il caso della chiusura temporanea dello stabilimento Stellantis di Melfi dal 3 al 10 maggio per mancanza di semi-conduttori e/o l’eliminazione di alcuni optional tecnologici proposti nelle vetture. Molte case automobilistiche, inoltre, hanno dovuto rivedere al ribasso le stime di vendite come, ad esempio, il gruppo Volkswagen che ha dovuto tagliare la produzione di oltre 100.000 vetture nel 2020 (si stimano altrettanti numeri per il 2021), oppure il caso di Toyota che ha rivisto al ribasso le previsioni sulle vendite dell’esercizio fiscale che chiuderà il 31 marzo 2022 per l’impatto della crisi dei semiconduttori.

Il problema nasce a monte, ovvero dai produttori e fornitori di semiconduttori, la cui leadership attuale è concentrata in pochi paesi asiatici (Taiwan e Corea in primis) e altrettanti pochi player: il 70% del mercato è in mano a due aziende asiatiche Samsung e Tsmc che stanno prendendo iniziative per soddisfare l’aumento della domanda. Tuttavia, si stima che ancora nel 2021 ci sarà carenza di semiconduttori con oltre 2 milioni di unità di veicoli leggeri mancate nella produzione a livello globale (in caso di grave carenza di semiconduttori, la produzione europea e statunitense potrebbe avere un calo rispettivamente di circa il 7% e il 10%).

Secondo il ceo di Intel, Pat Gelsinger, “serviranno ancora un paio d’anni prima che la crescente domanda per queste componenti torni a essere completamente colmata in tutti i settori dell’economia”. Nel frattempo, i paesi stanno pianificando di localizzare la loro catena di approvvigionamento di semiconduttori. L’Ue, per esempio, ha già avviato un piano per la riduzione della sua dipendenza da Stati Uniti e Asia per i semiconduttori. Si chiama “European

Chips Act”, una serie di attese misure per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, la resilienza e la leadership tecnologica dell’Ue nelle tecnologie e nelle applicazioni dei semiconduttori.

L’obiettivo delle nuove norme è rafforzare la competitività e la resilienza dell’Europa nel settore, renderla meno dipendente da fornitori terzi e contribuire a realizzare sia la transizione digitale che quella verde. L’European Chips Act prevede di mobilitare oltre 43 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati. In più, stabilirà misure per prevenire, preparare, anticipare e rispondere rapidamente a qualsiasi futura interruzione delle catene di approvvigionamento, che durante la pandemia hanno fortemente limitato alcuni settori (come quello dell’automotive).

L’ambizione dell’Ue è di raddoppiare la sua attuale quota di mercato al 20% nel 2030.

“L’European Chips Act sarà un game changer per la competitività globale del mercato unico europeo – ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – A breve termine, aumenterà la nostra resilienza alle crisi future, consentendoci di anticipare ed evitare interruzioni della catena di approvvigionamento. E a medio termine, contribuirà a rendere l’Europa un leader industriale in questo settore strategico”.

L’Ue sta anche valutando la creazione di un’alleanza con STMicroelectronics, NXP, Infineon e ASML per contribuire a ridurre la dipendenza dai produttori di chip stranieri. Il responsabile dell’industria europea Thierry Breton ha dichiarato che “già 22 Stati membri hanno firmato la dichiarazione congiunta dell’Ue sui processori e le tecnologie dei semiconduttori”.

Lo shortage dei microchip è quindi un fenomeno complesso con impatti che vanno ben oltre il semplice ritardo nelle forniture di componentistica, ma si configura sempre più come punto cruciale delle future politiche economiche e geopolitiche soprattutto per quanto riguarda l’industria europea nei confronti dei giganti asiatici e si innesta in una più ampia trasformazione del settore auto verso l’elettrificazione e l’auto connessa.