Si dice che con il caldo passi la fame. Sarà forse vero per noi esseri umani, ma a quanto pare non vale per i predatori marini: stando a uno studio appena pubblicato sulla rivista Science da un gruppo di ricercatori dello Smithsonian Environmental Research Center (Serc), infatti, il riscaldamento degli oceani dovuto al cambiamento climatico rende i loro abitanti più feroci e affamati. Il che, a cascata, può compromettere l’equilibrio dell’ecosistema del mare, mettendo in pericolo la sopravvivenza di molte specie.

“La temperatura dei mari”, spiega Gail Ashton, prima autrice del lavoro e biologa marina al Serc, “si è assestata nel corso di migliaia di anni. Poi, improvvisamente, abbiamo assistito a un riscaldamento velocissimo. Di cui ancora non conosciamo a fondo tutte le implicazioni”. Già in passato diverse ricerche avevano evidenziato come i predatori marini tendessero a essere più attivi nelle zone tropicali, dal momento che temperature più alte tendono a velocizzare il metabolismo umano; finora, tuttavia, tutte le evidenze raccolte non puntavano nella stessa direzione, e non c’era ancora una prova univoca. Per di più, erano troppo pochi gli studi che si erano concentrati a capire quale fosse la risposta delle prede all’aumento della pressione da parte dei predatori.

“Le acque più calde”, commenta Emmett Duffy, “tendono a favorire gli animali più in alto nella catena alimentare, che diventano più attivi e necessitano di più cibo. Chi ci rimette, naturalmente, sono le loro prede: questo suggerisce che il riscaldamento dei mari potrebbe portare a grandi cambiamenti nella vita degli ambienti marini più popolosi”.

(foto: Smithsonian Institution)
(foto: Smithsonian Institution) 

Nel lavoro appena pubblicato, i ricercatori hanno cercato di fare chiarezza sulla questione, analizzando i dati provenienti da 36 diverse località marine degli oceani Atlantico e Pacifico, dall’Alaska alla Terra del Fuoco. In ogni sito gli scienziati hanno condotto tre esperimenti. Nel primo si sono serviti di esche a base di seppie essiccate, immergendole in acqua per un’ora e poi tirandole fuori per vedere quante ne erano rimaste: i risultati dell’analisi hanno mostrato che effettivamente nelle località più calde la predazione era più intensa, mentre nelle acque fredde era praticamente inesistente.

Negli altri due esperimenti, si sono concentrati sull’osservazione dei pesci che vivono in acque più profonde, immergendo una sorta di gabbie di due tipi, uno aperto e uno che non lasciava entrare i predatori: anche in questo caso, è emerso che nelle acque più calde l’impatto dei predatori era molto più significativo. Le prede in gabbie non protette, nelle zone tropicali, sono state praticamente tutte divorate; nelle acque più fredde, invece, non si è registrata alcuna differenza tra le prede nelle gabbie protette e quelle nelle gabbie aperte: l’appetito vien riscaldando