“La nuova generazione degli investimenti sostenibili”. “Verso il livello due delle regole comunitarie sui fondi responsabili”. “Nuovi rischi, nuove opportunità”. Sono i titoli di alcuni degli approfondimenti che la stampa internazionale ha dedicato nelle ultime settimane a quello che si potrebbe definire il terzo step di sviluppo nel legame tra mondo degli investimenti e strategie aziendali legate alla sostenibilità. Infatti, dalla grande crisi finanziaria, che ha caratterizzato la fine dello scorso decennio, ha cominciato a farsi strada la necessità di favorire un nuovo modello di sviluppo più inclusivo e questo ha portato sia molti piccoli risparmiatori, sia soggetti istituzionali come fondi pensione e casse di previdenza a privilegiare volontariamente aziende e iniziative responsabili verso l’ambiente e le comunità in cui operano. Negli ultimi anni i regolatori hanno giocato un ruolo propulsivo nello sviluppo degli investimenti Esg (attenti cioè all’ambiente, ai temi dell’inclusione sociale e alle buone regole di governo delle aziende), evidenziando soprattutto con banche e assicurazioni i rischi legati al mancato rispetto di questi temi da parte delle aziende con le quali si relazionano. Ora inizia a prendere corpo la terza fase, in cui tocca alle stesse imprese dimostrare che il loro impegno non è solo di facciata, bensì si sostanzia in una serie di interventi che impattano anche oltre il proprio ambito di attività, coinvolgendo tutti gli stakeholder con i quali si interfacciano. Un’evoluzione frutto da una parte dello shock prodotto sull’opinione pubblica dall’emergere di alcuni casi di greenwashing (ambientalismo di facciata), dall’altro in risposta a un movimento d’opinione emergente negli Stati Uniti che contesta l’essenza stessa delle strategie sostenibili. Affermando che l’obiettivo di chi governa le aziende debba essere la crescita dei profitti e la remunerazione degli azionisti, senza influenze di tipo politico o sociale, che invece spetterebbero solo alle istituzioni.
“Dieci ragioni per cui la crescita degli investimenti Esg non si fermerà”, si intitola un recente approfondimento sul tema a cura di Morningstar. Partendo dall’assunto che il 2022 verrà ricordato come l’anno in cui la sostenibilità come parte integrante del business è stata oggetto di critiche come mai in precedenza, gli analisti sottolineano alcuni aspetti che rendono impossibile un ritorno al passato. E si tratta di argomenti che nella maggior parte dei casi hanno a che fare proprio con l’andamento dei conti. In primo luogo, viene sottolineato che un approccio Esg offre una visione più completa del rischio, elemento chiave di ogni investimento. Nel momento in cui un’azienda si dota di adeguati presidi in materia di inquinamento, sicurezza dei lavoratori, rispetto per i clienti, supervisione della catena di approvvigionamento, marchio e reputazione, solo per fare alcuni esempi, è meno esposta a rischi che possono pesare in maniera decisiva sui propri fondamentali. “Se c’è una cosa che abbiamo imparato dagli shock degli ultimi decenni, dal fallimento dei controlli che ha portato al caso Enron, fino allo scoppio della bolla legata alle dot.com, è che i Gaap (i principi contabili tradizionali, ndr) non sono sufficienti a fornirci una valutazione adeguata in merito al rapporto tra rischio e rendimento, in particolare a lungo termine”, è l’opinione di Nell Minov, tra le voci più ascoltate in termini di corporate governance. Che osserva: “L’Esg necessita ancora di essere affinata, ma già oggi aiuta a comprendere meglio il valore delle aziende”.
Identificare i rischi, aggiunge l’analisi di Morningstar, è il primo passo per individuare nuove opportunità. Così, ad esempio, la diversificazione delle fonti di produzione energetica non consente solo di evitare stop ai rifornimenti e sovracosti nelle fasi di tensione dei prezzi come quella attuale, ma anche di entrare in nuovi filoni di business come le rinnovabili, destinate inevitabilmente ad assumere un peso crescente negli anni a venire, anche sotto la spinta della legislazione. Per altro, adottare strategie di capitalismo inclusivo e responsabile aiuta non solo a intercettare investitori che orientano le proprie scelte in base a questi valori, ma anche a costruire relazioni durature con le nuove generazioni di consumatori, particolarmente attente a questi temi.
In questo scenario un ruolo cruciale sono chiamati a svolgerlo i legislatori. Nella primavera dello scorso anno è entrato in vigore il regolamento europeo Sfdr, che disciplina l’informativa nel campo della finanza sostenibile, standardizzando le indicazioni sulle caratteristiche ambientali, sociali e di governance dei prodotti finanziari. L’obiettivo è rendere più agevole per gli investitori confrontare le diverse opzioni a disposizione, anche se persiste un gap informativo tra case prodotto e investitori (soprattutto retail) che non esclude la possibilità di dichiarazioni fuorvianti. Proprio per questa ragione per fine gennaio è attesa l’approvazione del livello 2 della Sfdr, che prevederà regole più stringenti nella redazione dell’informativa da parte degli asset manager.
Le regole servono, ma non sono sufficienti. Diverse ricerche internazionali hanno messo in luce la maggiore resilienza delle società sostenibili rispetto alla media nelle fasi di turbolenza dei mercati, nonché la capacità di generare performance più stabili nel medio-lungo termine. E non si tratta di una cosa scontata, considerato che solo qualche mese fa l’attenzione degli investitori era concentrata sui titoli della difesa e su quelli più legati agli idrocarburi, in linea con le urgenze della congiuntura. Ma da inizio 2022, segnala BofA Research, tanto i flussi di investimento, quanto le performance Esg hanno fatto meglio del mercato, sulla scia di quanto emerso negli anni scorsi, e questo in fondo è ciò che più conta quando si parla di investimenti.
Il mondo degli affari e la salute del pianeta
Nel corso di Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è conclusa venerdì, si è discusso molto del ruolo che la finanza può svolgere per orientare il mondo del business verso scelte responsabili in campo ambientale. Al di là dello screening che porta a escludere dai portafogli le aziende inquinanti, negli ultimi tempi vi è stato un proliferare di fondi che hanno proprio il climate change come tema d’investimento. In concreto questo si traduce nella selezione di aziende che individuano nel problema globale un’opportunità per sviluppare soluzioni di business innovative. “Se non riusciremo a rallentare il riscaldamento globale, poi dovremo spendere di più per i danni prodotti”, ha scritto sul Financial Times Martin Wolf, commentatore di punta sui temi economico-finanziari. Ricordando che, trattandosi di “una guerra che possiamo solo vincere”, chi sarà capace di trovare soluzioni innovative in questo campo è destinato a emergere come vincente. Il discorso vale in primo luogo per gli Stati, ma a cascata anche per le aziende che potranno beneficiare dell’attenzione crescente ai temi della sostenibilità.