I ritrovamenti di specie che dalle acque tropicali si spostano verso i nostri mari, sempre più caldi, sono frequenti, così come le evidenze scientifiche, che l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici influenza la possibilità di sopravvivenza di piante e animali nelle regioni di tutto il mondo. Ma che succede nelle nostre città? Che accade ad animali molesti come i topi, o le zanzare, con l’aumento delle temperature? Di recente, negli Stati Uniti e in Canada i ricercatori hanno affermato che l’aumento delle temperature e inverni sempre più miti hanno fatto crescere la popolazione di topi dai piedi bianchi (Peromyscus leucopus) la specie di roditori più diffusa appunto in Canada e Stati Uniti orientali, con un conseguente allarme per interventi di disinfestazione sempre più frequenti e indispensabili.
“Prepariamoci alla tropicalizzazione progressiva dei nostri ambienti naturali e delle nostre città – è la chiave di lettura che fornisce Andrea Monaco, ricercatore dell’Ispra – d’altronde basta passeggiare in città come Roma e rendersi conto che gli uccelli più comuni dopo cornacchie e gabbiani sono diventati i pappagalli tropicali”. “Gli inverni diventano più caldi e la conseguenza è che le nostre latitudini diventano sempre più ospitali per piante e animali tipici di climi tropicali. Questo avviene in ambiente naturale, ma anche nelle nostre città dove la tendenza a creare sempre più ampi spazi verdi è diventata uno dei pilastri della sostenibilità urbana”.
A mutare la fauna urbana non saranno le ondate di calore come quelle che stiamo attraversando, ma piuttosto i cambiamenti in atto a lungo termine. Osserva infatti Monaco: “Le specie animali sono in genere attrezzate per resistere a sbalzi momentanei meteorologici e se si verificano condizioni di caldo e siccità persistenti almeno per un po’ sono in grado di resistere, magari riducendo i movimenti oppure il consumo d’acqua. Maggiori problemi ci possono essere invece per quei soggetti che sono ancora in fase di crescita, per esempio i pulcini di uccello, che potrebbero portare per tutta la vita i segni di uno stress termico o alimentare subito durante la crescita. alcuni potrebbero pure non farcela, se le condizioni anomale si prolungano nel tempo”.
In questo senso, allora, in tempi brevi potremmo anche assistere a una diminuzione di alcune popolazioni di animali che si sono adattati a vivere nelle nostre città? “Ovviamente in condizioni anomale sono sempre le specie più flessibili, più adattabili a cavarsela meglio – risponde il ricercatore – e spesso sono proprio queste le specie che abitano tra di noi. Almeno per quanto riguarda mammiferi e uccelli è probabile che gli animali adattati alla vita in città se la passino meglio di quelli che vivono in ambiente naturale, perché la presenza dell’uomo mette loro a disposizione sempre cibo, acqua e riparo dal caldo. In un certo senso sono avvantaggiati rispetto ai loro conspecifici ‘di campagna’ per i quali sono state in alcuni casi registrate anche morie di massa durante ondate di calore eccezionali”.
Anche in città, però, ci sono alcune specie che possono risentire della carenza d’acqua: “Il discorso per gli animali che vivono in stretta relazione o dipendenza dall’acqua, come tartarughe o anfibi dei nostri stagni, la situazione può diventare critica” conferma Monaco. Se le ondate di calore sono eventi a volte anche importanti, ma sicuramente temporanei il discorso cambia quando parliamo di cambiamenti climatici, cioè di fenomeni globali e irreversibili. “In questo caso le evidenze scientifiche di uno stravolgimento della distribuzione della flora e della fauna sono ormai numerose – sottolinea il ricercatore Ispra -.Un esempio su tutti sono gli insetti, come le zanzare tropicali, vettori di malattie trasmissibili all’uomo come la Dengue, la febbre gialla o lo zika virus, ma anche i parassiti delle piante, che un tempo alle nostre latitudini morivano a causa del freddo invernale. Se l’area di distribuzione delle zanzare tropicali si allarga per effetto del riscaldamento climatico provocato dall’uomo significa che milioni o addirittura decine di milioni di persone diventano a rischio di contrarre malattie infettive potenzialmente molto pericolosa: si tratta di un effetto di certo non secondario dell’azione dell’uomo che spesso viene trascurato”.
“Il caso dei topi dai piedi bianchi statunitensi è solo un esempio degli enormi costi di disinfestazione che ci sono già stati, basta pensare agli sforzi fatti per fermare la diffusione della zanzara tigre”. In questo senso tuttavia la siccità di quest’ultimo periodo insieme ai disastri ha portato anche una diminuzione delle zanzare, che trovano meno acqua per deporre le uova. Non ci sono ancora dati accertati, ma le prime ipotesi è che quella in corso sarà un’estate con meno zanzare. “Tuttavia se la siccità sembra aver contenuto il numero di zanzare non significa siano diminuite in modo permanente – conclude Andrea Monaco – con le prime piogge rischiamo una vera esplosione della nascita di questi insetti”. Un altro aspetto della tropicalizzazione.