Il 22 gennaio 2024, sono le 6 del mattino, Planet Farms, la più grande società di vertical farming in Europa, brucia. Otto operai sono già al lavoro. Altri stanno arrivando. L’allarme è tempestivo, tutti sono salvi. Ma bruciano anni di lavoro e fatica. Alle 6.45, l’entità del disastro è già chiara. Una colonna di fumo nero si alza da Cavenago di Brianza e si vede lungo tutta l’A4. Lo stabilimento dell’azienda tech fondata nel 2018 da due imprenditori visionari, con il sogno di cambiare il mondo e l’agricoltura, è distrutto. Ridotta a un campo di cenere. Luca Travaglini e Daniele Benatoff, compagni di infanzia, sono i co-founder di Planet Farms. E la loro ambizione non è andata in fumo. Anzi, si è alimentata. Stanno già accelerando con un nuovo stabilimento a Cirimido (CO), che sarà una delle più grandi vertical farm del mondo. Dove si coltiverà senza sprechi né pesticidi, risparmiando il 95% di acqua e il 90% di suolo.

È la prima volta che i due parlano dopo l’incendio. Ripercorrono quelle ore con la voce rotta dall’emozione. Travaglini è il primo a essere avvisato all’alba. Benatoff è in volo dagli States a Londra. Planet è la loro vita, una missione. Nei primi momenti solo il caos, i telefoni, i pompieri, i giornalisti. I droni che volano ovunque, nessuno che possa avvicinarsi.

LT “È stato devastante. Come vedere un figlio bruciare. Quel giorno ho capito che cosa significa essere un imprenditore. Non dimenticherò mai gli occhi di chi lavora con noi. Occhi pieni di terrore. Mi guardavano in cerca di risposte”.

Uno shock. Che però ha da subito anche un volto positivo.

“Accanto al dolore, ci è arrivato il cuore. La solidarietà. Clienti, banche, investitori, istituzioni, amici. Persino gli sconosciuti. Tutti ci hanno dato forza. La gente di Cavenago ci ha profondamente colpito. Ci scrivevano via email: “posso venire ad aiutarvi con una pala?”. Le grandi aziende, come la Brembo, ci hanno offerto i loro uffici per riprendere il lavoro. Abbiamo capito di rappresentare qualcosa, non solo un’impres che fa insalate”.

Intanto, Daniele Benatoff atterra a Londra alle 11.15. Accende il telefono e trova decine di chiamate e di messaggi. Si spaventa, pensa ai suoi figli, chiama la madre e poi Luca. “Abbiamo pianto, sì, per soli due minuti”.

E poi?

LT “Abbiamo convertito quel dolore in energia. La solidarietà in azione. Se fossimo rimasti a guardare, non avremmo fatto altro che affossare una società che non lo meritava. Alle 13,30 abbiamo aggiornato tutto il nostro team e gli investitori in videocall. “Nessuno è morto. Planet Farms non è morta, per questo non deve rinascere. Sì, abbiamo preso in faccia un tombino gigante, ma torneremo e saremo più forti di prima”. Col senno di poi, ti dico che ci ha fatto bene. Un’ulteriore sfida che abbiamo saputo affrontare. Non sapevamo come muoverci, ma abbiamo imparato tantissimo”.

DB “In aereo stavo leggendo la Via dell’ostacolo (di Ryan Holiday, ndr), che coincidenza. Racconta che tutto quello di grande, di innovativo che è stato fatto nel mondo (che spesso diamo per scontato) è frutto di un ostacolo. Significa che non nasce nonostante l’ostacolo, ma grazie a lui. Non ho vissuto la mattina di Luca. Non mi sono trovato di fronte al rogo, non l’ho annusato sulla mia pelle. La sensazione è stata subito: “non c’è più Cavenago, adesso facciamo qualcos’altro”. Due ore dopo il mio atterraggio, abbiamo convocato una riunione con tutti”.

Le prime parole?

“Ci siamo guardati, come fanno i bambini quando cadono. Ti guardano per vedere se è grave, se si sono fatti male e devono piangere o se devono rialzarsi e andare avanti. Ecco, tra noi non c’è mai stato un secondo in cui abbiamo pensato di chiuderci in camera a piangere. Siamo stanchi, certo. Provati a livello fisico, mentale ed emotivo. Ma anche convinti che un giorno avremo un impatto a livello globale. E allora guarderemo a questo come uno dei momenti che ci ha permesso di arrivare lontano. La nostra ambizione oggi è alimentata dal fuoco, non bruciata”.

Come avete gestito le 100 persone che lavorano per voi?

LT “Ci siamo presi cura di loro, sono l’anima di Planet. Non abbiamo messo nessuno in cassa integrazione, né usato alcun ammortizzatore sociale. Lavoreranno a Cirimido, su un’area di 44mila mq, 180 persone sono già in cantiere. Ora siamo tutti focalizzati sulla ripresa”.

Cosa è successo esattamente?

LT “Abbiamo un sistema di automazione complesso. E tutto questo processo non può generare un incendio. C’erano però delle macchine, in un locale tecnico con accesso dall’esterno e non nel sito produttivo, dove si era verificato un guasto. Pare fosse stata fatta una manutenzione. A oggi le cause non sono ancora chiare. Il problema è che quando prende fuoco un edificio, soprattutto se si tratta di uno stabilimento alimentare, è difficile da spegnere. La cosa incredibile è che una settimana prima, senza un motivo preciso, nel nuovo stabilimento abbiamo deciso di spostare quel macchinario lontano…”.

Qual è la lezione più grande che avete imparato?

DB “Che la positività è molto più contagiosa della negatività. Abbiamo tutti la tendenza a lamentarci ma le visioni positive sono un elemento trainante. Per tanti siamo quelli con lo stabilimento bello, illuminato con i colori che vedevano tutte le sere tornando a casa dal lavoro. Le nostre luci riprendevano la bandiera italiana. Fateci caso, ora lungo l’A4 quasi tutti gli stabilimenti industriali hanno un tricolore issato o illuminato”.

Ora cosa state facendo?

“C’è molto da fare. Un iter assicurativo da seguire, uno stabilimento che sta accelerando, presto un lancio anche in Uk. Abbiamo pubblicato il primo bilancio di sostenibilità. E poi dobbiamo tranquillizzare che il progetto è ancora attuale e noi continuiamo. Grandi orologi segnano il countdown per l’avvio del nuovo stabilimento. Li abbiamo sincronizzati in ogni nostro ufficio, a Londra, in Portogallo, in Olanda, a Milano, a Cinisello: -56 giorni”.

LT “Avere questo tempo ci ha dato un grosso sprint. Gli effetti del clima oggi sono sempre più evidenti, l’agricoltura tradizionale è in crisi. Noi siamo una soluzione concreta in un momento storico difficile. Quello che è successo è stato un fulmine a ciel sereno. Stavamo registrando i primi numeri di crescita, raggiungendo quel che sognavamo dal giorno zero. Ma ci siamo ricordati di quando abbiamo deciso di creare Planet e abbiamo bruciato le navi…”

Bruciato le navi?

“Un imprenditore di successo ci ha detto: se decidete di partire, ricordatevi di bruciare le navi. Si rifaceva alla storia di un esploratore spagnolo che voleva conquistare terre e per sconfiggere la paura delle sue truppe, le portava a terra e ordinava di dar fuoco alle navi. Eliminava cosi la via di ritirata. È l’unico modo per non arrendersi al primo problema. C’è solo una strada, ed è andare avanti, Cerchiamo di non tradire quella visione. La prospettiva è ancora “Go vertical”. Svoltare e ripartire”. I due a oggi non sono ancora riusciti a rivedere un video di quel giorno…

 

Luca Travaglini sarà ospite del Festival di G&B il 4 giugno a IBM Studios Milano.