BAKU. Da 100mila a 100 in quattro anni. Fa impressione – alla Cop29 di Baku – vedere come le proteste della società civile e degli attivisti climatici sono state nel tempo ridimensionate, delocalizzate e anestetizzate. Oggi in un piccolo angolo all’entrata della hall della Cop, che si tiene nei padiglioni costruiti al fianco del Baku Stadium, un centinaio di attivisti si è radunato per dar vita a una protesta al grido di “stop fuel genocide”, unendo la questione climatica a quella dei diritti umani, sottolineando come dall’Azerbaijan parte il gas che passa poi per oleodotti turchi sino ad arrivare a Israele, responsabile secondo i presenti di “genocidio a Gaza”.

Cop29, “Sganciate i soldi”: la scritta gigante degli attivisti climatici nello stadio di Baku

Ma non c’è solo il tema palestinese nelle piccole proteste in corso alla Cop. C’è un mix di richieste e di cori, da quelle per l’immediata decarbonizzazione fino alla regolamentazione del mercato di carbonio, da i diritti degli Armeni sino alla rabbia contro l’ingerenza dell’Azerbaijan, passando poi per “salvare le foreste” e molto altro ancora. Un mix che spesso risulta fuorviante, se non fosse che in quasi tutti i casi c’è sempre la richiesta di “più finanza climatica per i Paesi meno abbienti” e fondi per il loss and damage, due temi ancora centrali alla Cop. A colpire però non sono le richieste di attivisti e manifestanti, ma il cambiamento epocale avvenuto in soli quattro anni, spesso dovuto alle politiche repressive dei Paesi ospitanti.

Alla Cop26 di Glasgow, nel 2021, all’improvviso durante i negoziati per le strade scozzesi si erano radunate oltre 100mila persone. In testa a un gigantesco corteo, che ha visto anche momenti di scontri con le forze dell’ordine, c’erano gli attivisti dei vari movimenti, da Greta Thunberg di Fridays for Future sino ai rappresentanti di Extinction Rebellion. E c’erano anche le mamme, le nonne, i bambini, i lavoratori: era un fiume di persone, spesso colorato e decisamente chiassoso, in grado di attirare l’attenzione di tutto il mondo e dei media sui negoziati della Cop21. Esigevano accordi reali per contenere le temperature, chiedevano – in migliaia – azione immediata.


Poi, è iniziato il triennio di Cop in Paesi dove le proteste, di fatto, non sono permesse. In stati dove la presenza di polizia è imponente (Azerbaijan compreso), dove le telecamere e gli occhi della sicurezza e la sorveglianza sono ovunque (come in Egitto), o dove le forme di dissenso sono state accuratamente pre autorizzate (negli Emirati Arabi), protestare è diventato praticamente impossibile. Addio alla libertà europea che ha fatto convogliare migliaia di movimenti a Glasgow, quelli che scalpitavano dopo il Covid per riunirsi e far sentire la loro voce. Ma anche addio alle possibilità logistiche, economiche e sociali, di raggiungere le sedi Cop per manifestare. Baku, inoltre, registra finora un ulteriore passo indietro. In Egitto (Cop27) dopo un lungo scambio di messaggi su Signal un buon numero di attivisti riuscì a radunarsi e i cortei – anche se non all’esterno della Conferenza, dato che sarebbero stati relegati nel deserto, ma all’interno degli spazi aperti della Cop, ci furono e fecero rumore. A Dubai stessa cosa anche se un po’ ridotta, il tutto in un contesto lussuoso e controllatissimo dei lunghi viali dentro all’Expo di Dubai.

(reuters)


In Azerbaijan invece, alla Cop29, dai 100mila di Glasgow si è arrivati a un centinaio di persone relegate – per ora – in un angolino, lontane centinaia di metri dalle sale dei negoziati e dalla plenaria dove si radunano i leader mondiali. Chi fra le 70mila persone presenti passa di lì, da quell’angolino al fianco dei corridoi che portano ai padiglioni delle varie delegazioni, si ferma ad ascoltarli un attimo, scatta qualche foto, fa un timido applauso e poi va via. Tutto questo, dettaglio non da poco, avviene al chiuso, con scarsa attrazione anche per i media. Fuori invece, in una Baku ultra presidiata dalla polizia e già accusata (da Amnesty International per esempio) di repressione sui diritti umani, è praticamente impossibile dar vita a cortei. Chissà se, nei prossimi giorni, gli attivisti riusciranno a organizzarsi diversamente e far sentire davvero la loro voce. Vedremo.


Nel frattempo, chi si sono fatti sentire sono delegati e giornalisti presenti: critiche ci sono state al cibo sia troppo caro (anche 20 euro per un piatto di riso e spezzatino, oppure 4 per un caffè) e soprattutto troppo basato sulla carne. Alla fine è perfino dovuta intervenire l’Onu, tramite l’Unfccc che organizza la Cop, per dire che sì, qualche locale dove mangiare vegetariano c’è, con tanto di nota da parte dell’Azerbaijan che garantisce “che la maggior parte dei pasti ha una carbon footprint bassa o minima”. Ci mancherebbe non lo fosse, alla grande Conferenza mondiale sul clima.