Maggio sarebbe il mese più indicato per non tagliare l’erba del prato. Nei vialetti privati così come, o almeno in parte, anche nei parchi pubblici. Ne beneficiano le piante autoctone, i relativi insetti impollinatori e in generale la salute del suolo. Nel 2019 è nato un movimento, chiamato No Mow May, che promuove la libera crescita vegetale al culmine della primavera e che ha un discreto numero di accoliti sia nel Regno Unito, patria del detestato prato all’inglese, che oltreoceano.

In Italia non arriviamo ancora a tanto, al contrario. In alcune città come Milano, Bergamo e Parma si sperimenta lo sfalcio ridotto: significa ridurre della metà il numero di tagli programmati di una piccola quota di prati per promuoverne la biodiversità autoctona, sia in termini di piante che di insetti impollinatori. Puntualmente, perché questa pratica si ripete ormai da un paio d’anni, le amministrazioni sono sommerse da lettere di protesta, fotografie e denunce sui social media sull’incuria del verde pubblico.

“In molti casi arrivano segnalazioni di prati e giardini che sono già stati sfalciati ma che le piogge delle ultime settimane hanno rinvigorito come se la manutenzione non ci fosse stata. – spiega Ilda Vagge, docente di botanica all’Università La Statale di Milano e tra i Garanti del verde della città  – In realtà a Milano sono solo 54 le aree verdi dove sperimentiamo la riduzione degli sfalci, ovvero il 7% del totale dei prati urbani per una superficie complessiva di 1,3 milioni di metri quadri. La maggior parte di questa zone si trova nei grandi parchi o a ridosso delle aree naturali e non nei quartieri densamente abitati”. Anche negli altri comuni le aree dove si effettua lo sfalcio ridotto non superano il 10%. Tanto che ci sono anche associazioni ambientaliste e comuni cittadini che chiedono di osare di più. 

Una precauzione necessaria, in questo caso, riguarda il rischio allergie. “Dove predominano specie alloctone come l’ambrosia, che produce notevoli quantità di polline, la manutenzione viene eseguita in modo regolare, senza saltare un turno. – aggiunge la botanica – Nei prati stabili, dove l’erba cresce in libertà, si favoriscono le piante autoctone. In un ambiente del genere convivono in equilibrio tra le 30 e le 40 specie vegetali. Dai trifogli ai fiordalisi alle Asteraceae come la margherita bianca fino alle Fabaceae come le vicie o i lotus. Questo complesso floristico offre opportunità di nutrimento a diverse categorie di impollinatori mentre nei prati dominati da una sola specie alloctona spesso sono privilegiati un numero inferiore di insetti”.

Il Bosco delle Api, un’oasi urbana per salvare impollinatori e biodiversità

Zerynthia cassandra, una farfalla endemica e protetta in tutta Italia, ha colonizzato la vegetazione spontanea delle aree urbane di Roma e di Bari. Una ricerca congiunta Cnr-Crea pubblicata di recente sulla rivista Urban Ecosystems ha dimostrato che questo insetto predilige le città dove crescono piante del genere Aristolochia (Aristolochia rotunda a Roma, Aristolochia clusii a Bari) perché le foglie tubolari, delle quali si nutre, offrono anche un habitat sicuro per le larve. Una volta compiuta la metamorfosi Zerynthia cassandra continua la sua esistenza senza mai allontanarsi troppo dalle fonti di polline. Questo lepidottero è uno dei pochi insetti in grado di metabolizzare il potente veleno presente nelle foglie di questo genere botanico per tenere alla larga gli intrusi. A Torino diversi campionamenti compiuti sulle popolazioni di insetti tra il 1998 e il 2022 hanno rilevato una straordinaria concentrazioni di bombi (Bombus terrestris e altre specie), uno dei più importanti insetti impollinatori, peraltro è meno aggressivo delle api mellifere, associato alla flora autoctona italiana.   

 

“Siamo di fronte a un paradosso perché le città offrono rifugi più adatti agli impollinatori selvatici rispetto alla aree rurali dove l’agricoltura intensiva ha ridotto in forma drastica gli ambienti disponibili. – spiega Edy Fantinato, botanico dell’Università Ca’ Foscari di Venezia che con Gabriella Buffa coordina il progetto europeo Life PollinAction – Le aree urbane hanno un’eterogeneità di piante maggiore rispetto alla campagna perché nel giardino pubblico così come sul balcone, si possono coltivare fiori che producono polline. Per favorire la biodiversità degli insetti sarebbe poi importante seminare solo piante autoctone perché i nostri impollinatori selvatici si sono coevoluti con queste specie. Di fronte a una petunia che arriva dal Sudafrica molti di questi animali non sanno come manipolarla perché non la conoscono”.