Al World Economic Forum è stata insignita con il riconoscimento Ocean Data Challenge, nell’ambito della sessione “The Earth Data Revolution”. E così l’italiana WSense diventa a Davos l’impresa più innovativa al mondo nella raccolta e gestione dei dati ai fini della protezione dell’ambiente oceanico. Opera in quel campo ora chiamato Internet of Underwater Things (Iut), ovvero l’Internet delle cose sottomarine, ed è una costola dell’Università La Sapienza di Roma specializzatasi in sistemi di monitoraggio e comunicazione subacquei. Con tecnologie brevettate, sviluppa sistemi che utilizzano le onde acustiche, simili a quelle sfruttate dai delfini, e tecnologie ottiche senza fili.
“Rendiamo possibile lo scambio di dati sotto l’acqua e questo permette di produrre sensori di vario genere per monitorare le condizioni dell’oceano”, sintetizza Chiara Petrioli, a capo di Wsense. Cinquanta anni, romana, ha un passato come ricercatrice e insegnante alla Boston University. L’idea le venne quando stava conducendo degli studi con il Mit. Una volta rientrata in Italia, decise di metterla in pratica fondando la startup nel 2017.
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“Parliamo di trasmissioni efficienti e a basso impatto per trasferire informazioni di ogni tipo come avviene con il wi-fi sulla terra ferma”, prosegue Petroli. “Senza informazioni accurate su quel che avviene in profondità è impossibile avere dei modelli capaci di affrontare il cambiamento climatico nell’ambiente marino”.
Gli oceani assorbono circa un terzo della CO2 prodotta dalle attività umane e sono sempre più inquinati da sostanze chimiche, oltre che plastiche e microplastiche.
I sistemi di Wsense sono stati premiati al World Economic Forum proprio perché potrebbero fare luce su quanto avviene in profondità: sensori capaci di sfruttare tali sistemi di comunicazione subacquea saranno in grado di controllare 24 ore su 24 la concentrazione di qualsiasi sostanza estranea all’ambiente marino originale, lanciare allarmi e permettere interventi mirati di pulizia e risanamento.
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La tecnologia WSense consiste in componenti hardware e software per acque basse e profonde per implementare e gestire un’infrastruttura di rete internet sottomarina che operi fino a 3000 metri di profondità. Il progetto è di avere in tempo reale informazioni sulla qualità dell’acqua, raccogliere suoni e immagini, dati su correnti, maree, moto ondoso, movimento di strutture ed ancoraggi.
Per chi opera nella “Blue Economy” è una mezza rivoluzione, poco importa che sia un istituto di ricerca o un’azienda privata. I campi di applicazione sono tanti: controllo della qualità ambientale, acquacoltura, porti e le infrastrutture critiche, tra cui quelle energetiche, gasdotti, oleodotti, piattaforme di estrazione e i cavi di trasmissione dell’elettricità. In più le soluzioni di Wsense garantiscono l’interoperabilità e la connettività tra sensori subacquei di qualsiasi casa produttrice e veicoli robotici autonomi. Quello della comunicazione wireless subacquea è un mercato che sta muovendo i primi passi e che vale per ora circa 3,5 miliardi di dollari, con previsioni di crescita del 22% da qui al 2027.
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Vale la pena sottolineare che Wsense non è una startup come comunemente viene intesa. Con oltre cinquanta fra ingegneri e ricercatori, è stata fondata ed è gestita da persone che non hanno vent’anni. Non a caso ha uffici in Italia, Norvegia e Regno Unito, oltre a clienti del calibro del nostro ministero della Difesa e aziende come Leonardo, Leroy, Saipem, Terna, Enea, Ingv e il National Oceanography Centre. “L’esperienza che si fa quando si è studenti e poi in seguito dopo la laurea è fondamentale”, spiega Chiara Petrioli. “È la base per raggiungere dei risultati, per i quali però servono anche molte altre capacità che si ottengono solo con il tempo”.
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Il riconoscimento appena ricevuto, che si aggiunge a quello ottenuto nella Digital Challenge dello European Institute of Innovation and Technology (Eit), dovrebbe aprire le porte a nuovi mercati internazionali per la compagnia romana. Del resto una tecnologia che rende possibile vedere quel che per noi oggi è fuori portata fa comodo a decine se non centinaia di Paesi. Anche le informazioni basilari infatti, come la temperatura, non vengono oggi mappate con precisione visto che i satelliti misurano solo quella superficiale.