Le idee innovative arrivano anche per caso, magari mentre si percorre in auto il solito tragitto per andare al lavoro. Soprattutto se si sta guidando verso la propria azienda e si è abituati a guardarsi intorno per vedere cosa può offrire il territorio e come si possono limitare al massimo gli scarti di lavorazione. Gianni Tagliapietra, 48 anni, è un imprenditore di terza generazione di Breganze, in provincia di Vicenza, dove gestisce con il fratello Amedeo un’impresa che produce da 50 anni tappi in sughero e in plastica. “Lavorando un materiale naturale e prezioso come il sughero, buttare via gli sfridi (scarti di lavorazione n.d.r.) è sempre stata una sofferenza, ben prima di tutta questa attenzione al riciclo e alla sostenibilità, mi creda. – racconta Tagliapietra – Adesso che molti tappi sono fatti in plastica ci troviamo con altri scarti, per cui da sempre ci ingegniamo per riutilizzarli”.
La lampadina si è accesa nel vedere nella zona resti della lavorazione di lavanda e camomilla: “Per usare gli sfridi abbiamo già avviato la produzione di miscele tra farine naturali e polimeri, ma vedendo gli scarti di aziende che producono olio essenziale di lavanda e infusi di camomilla mi sono detto che oltre a realizzare un materiale piacevole alla vista e al tatto si poteva studiare come produrne uno gradevole anche per l’olfatto“. Così è nata Mixcycling, una startup per la realizzazione di una plastica profumata perfettamente riciclabile.
Labrenta, l’azienda di Tagliapietra, ha a disposizione laboratori e macchinari: “Ci è bastato assumere otto persone che si occupassero di Mixcycling, abbiamo già la tecnologia per il processo di asciugatura delle fibre di scarto, che possono essere di diversa forma. – spiega l’imprenditore – e il materiale che abbiamo realizzato dà ancora più valore proprio a questi scarti: la gradevole fragranza del nostro packaging, unita all’aspetto e alla texture naturale, stimola i sensi creando un’esperienza unica e naturale”.
Non è soltanto una questione estetica o sensoriale: “I vantaggi sono molteplici – dice Tagliapietra – Intanto creiamo meno plastica, circa il 60% in meno e in più il profumo caratterizza subito il materiale, lo si riconosce come sostenibile, diverso”. La plastica gradevole da toccare e da annusare è appena nata, ma ci sono già aziende della cosmetica interessate ad usarla. “Stiamo ancora facendo delle presentazioni ai nostri clienti – dicono da Mixciclyng – e creando la prima linea di packaging. In un paio di mesi dovremmo avere i nostri ordini”.
Ma non si pensa soltanto al settore cosmetico, dove la plastica profumata si potrà usare sia per il barattolino, sia per l’incarto. C’è già un progetto per l’alimentare: “Stiamo lavorando a un pacchetto di caffè che profuma di caffè, con il semplice riutilizzo dei fondi dei bar, per esempio. C’è poi il settore vitivinicolo, per il quale già produciamo i tappi, che è una fetta enorme dell’economia della nostra zona: gli scarti di vinaccia sono molto interessanti da usare. Il nostro obiettivo è la triangular economy, un passo avanti rispetto alla circular economy, perché ogni produttore può arrivare a usare il suo scarto”.
“La visione di Mixcycling – sottolinea Tagliapietra – va ben oltre il riciclo. La plastica non è come il vetro o l’alluminio, per riciclare i quali non ci vuole prodotto vergine. Per riciclare la plastica serve anche del materiale vergine, cioè bisogna usare plastica nuova. Noi andiamo oltre perché sostituiamo la componente fossile con la componente biogenica, e questa componente non è mais, per esempio, per produrre il quale si va in conflitto con la produzione di cibo. Noi vogliamo produrre nuova plastica soltanto con gli scarti”.
Parlare con Tagliapietra è aprire una finestra su un’imprenditoria che spesso è più avanti di quanto si possa immaginare: “Siamo stati tra i primi a usare per la nostra fabbrica energia rinnovabile al 100%. I nostri sforzi in questo senso hanno una base economica: io e mio fratello Amedeo, che si occupa del marketing, siamo convinti che per essere sostenibile dal punto di vista economico un’azienda deve esserlo anche dal punto di vista ambientale, soltanto così può sopravvivere nel suo territorio, soprattutto ora che la gente è informata e chiede giustamente conto di quanto facciamo”.
“Ripeto che ho sempre creduto nell’importanza di una produzione sostenibile, da quando ho cominciato a lavorare a 18 anni dopo il diploma. Mi è sempre piaciuto studiare nuove soluzioni, cercare di innovare. C’è un po’ di delusione nel vedere che spesso le start fanno innovazione molto velocemente, ma poi si scontrano con normative non avanzate. Ci vuole, per esempio, una semplificazione nella categorizzazione degli sfridi: noi recuperiamo scarti vegetali che non hanno nulla di pericoloso, ma per movimentarli e lavorarli dobbiamo riempire formulari infiniti. Così non si aiuta la circolarità”.