Un tour nel deserto in 4×4, fino a lambire il confine saudita e osservare storditi le acque di quello che chiamano “mare interno”, la gigantesca insenatura di Khawr al Udayd, un labirinto di dune sabbiose e riflessi accecanti. Una gita in kayak fra le mangrovie dalla parte opposta del paese, ad Al Dhakira. Una notte fra gli aromi sprigionati dai narghilè dei mille caffè e le botteghe d’artigianato esplorando il souq Wakif, il cuore e la storia di Doha. Una giornata di relax nel resort di lusso di Banana Island oppure un paio d’ore di navigazione al tramonto sui dau, le tipiche barche a vela arabe, in contrasto con lo skyline dei luccicanti grattacieli di West Bay, a Nord della capitale. Il Qatar sta facendo di tutto per sbarazzarsi dell’aura di destinazione “stop-over”, dove fermarsi solo da e per altre mete asiatiche, e per raccontare al mondo, e agli italiani, come ci si possano trascorrere diversi giorni senza dover per forza avere una Ferrari in garage.
Certo, è pur sempre il lusso ad alimentare il fascino dell’emirato, il paese in cui i cittadini (pochi, circa 300mila, i restanti 2.5 milioni di residenti sono stranieri) vantano il reddito pro capite più elevato del mondo: una penisola che si tuffa nel sempre caldo golfo arabico e che si può attraversare in neanche tre ore da Nord a Sud a bordo di strade ben asfaltate. Dal piccolo ma affascinante forte di Al Zubarah all’interno dell’omonimo sito archeologico della vecchia città mercantile del XVIII e XIX secolo – dal 2013 primo e per ora unico sito Unesco del paese costruito nel 1930 durante il regno di Abdullah Bin Jassim Al Thani (ingresso gratuito) – appunto al confine con l’Arabia Saudita, la sola frontiera terrestre che lo colleghi alla penisola arabica. Quello dei grandi hotel cinque stelle, come il nuovissimo Mandarin Oriental e il suo ristorante Izu (dello chef nigeriano cresciuto in Inghilterra Izu Ani) di Msheireb, il quartiere affiancato al souq, sovraffollato e precipitato nel caos urbanistico dagli anni ’70 e ricostruito da capo. Oggi è un elegante e lucidissimo epicentro della creatività (basti pensare al centro M7 per moda e design), dello shopping, della ristorazione (da segnalare almeno il qatariota Saasna) ma anche delle radici qatarine.
Proprio lì, infatti, a dieci minuti a piedi dal souq, il governo ha infatti messo in salvo e tutelato quattro abitazioni tipiche che vale la pena visitare fin dal primo giorno di un ipotetico itinerario di quattro-cinque giorni: raccontano con chiarezza l’architettura tradizionale (Radwani house), l’incredibile epopea della scoperta del petrolio e poi del gas naturale che dagli anni Quaranta del secolo scorso ha cambiato il destino di quel pezzo di terra (Company house) trasformando un popolo di pescatori di perle nell’ago della bilancia degli equilibri energetici del pianeta, la storia ma anche l’arrivo prepotente della modernità a partire dal secondo dopoguerra (Mohammed Bin Jassim House) fino alla Bin Jelmood House, sorta di museo dedicato alla schiavitù e ai diritti umani. Una struttura immaginata nel contesto della rinnovata e più moderna visione del Qatar da costruire entro il 2030 in particolare da Moza Bint Nasser al-Missned, seconda delle tre mogli di Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro del Qatar dal 1995 al 2013 e madre dell’attuale emiro Tamim.
In effetti la strategia turistica del Qatar per il prossimo decennio punta, sulla spinta dei mondiali di calcio del 2022 (anticipati dalla Coppa araba in programma da fine novembre), ad aumentare il numero degli arrivi internazionali fino a 6-7 milioni l’anno. E dunque a diventare – in concorrenza con le spesso più ambite Dubai o Abu Dhabi nei vicini Emirati Arabi Uniti – la destinazione con la crescita più rapida di visitatori del Medio Oriente. Un piano che coinvolge la politica – per esempio, negli ultimi sei anni sono state approvate alcune leggi per migliorare le condizioni dei lavoratori, incidendo sull’arcaico sistema islamico della “kafala”, anche se molta strada rimane da percorrere sui diritti e le libertà individuali – ma appunto anche la diversificazione delle cose da fare, da vedere e da gustare nell’emirato. Che prova dunque a distinguersi dagli altrettanto potenti vicini sottolineando le sue radici (il souq Wakiq, in parte distrutto da un incendio nel 2005, è stato per esempio ricostruito secondo lo stile architettonico locale) e arricchendo le esperienze a disposizione dei visitatori. Non è un caso che lo slogan dell’ultima campagna promozionale sia proprio “Qatar-Experience a World Beyond”. Se è vero che in termini di ricettività mancano ancora strutture per budget economici o intermedi, è altrettanto vero che in fondo è sempre il momento giusto per andare in Qatar (a esclusione dei caldissimi mesi estivi) e che dunque con un po’ di attenzione ci si possono assicurare delle notti in alberghi di assoluto livello a prezzi in fondo non troppo distanti, considerando i servizi, dai prezzi europei per categorie spesso inferiori.
Nel 2019, prima della pandemia, sono stati 58mila gli italiani a visitare il paese, che proprio all’inizio di quest’anno è uscito dall’embargo triennale imposto dai vicini del Golfo, con un aumento del 61% sull’anno precedente. I numeri del 2020 sono ovviamente ininfluenti ma ora che il turismo è ripartito (il paese è per ora inserito nell’elenco D del ministero della Salute italiano: nessuna quarantena al rientro ma occorre un test PCR o antigenico) e con la spaventosa visibilità che il calcio mondiale porterà con sé, l’obiettivo è quello di riaccendere i motori. Al momento in cui scriviamo per entrare nel paese occorre presentare il risultato di un tampone molecolare negativo effettuato non oltre 72 ore dall’atterraggio all’aeroporto Hamad international, hub di Qatar Airways che fra l’altro ha ricevuto il riconoscimento Covid-19 Airline Safety Rating a 5 stelle dall’organizzazione internazionale di valutazione del trasporto aereo Skytrax, registrarsi su una piattaforma molto agile in tre passi dove caricare la documentazione e infine scaricare sul proprio smartphone Ehteraz, l’applicazione omonima alla piattaforma che – analogamente al green pass italiano – fornisce QR Code di colori diversi a seconda delle condizioni individuali. Per accedere praticamente a ogni luogo del paese, dai ristoranti ai campi nel deserto, dalle imbarcazioni agli shopping mall, dai musei agli hotel, quel codice dev’essere verde. L’app funziona ora anche con le Sim internazionali.
Se il Mia, il Museo di arte islamica progettato da sinoamericano Ming Pei (lo stesso che ha firmato Palazzo Lombardia a Milano o la piramide del Louvre) che lambisce il porto dei dau, è chiuso per lavori (è accessibile la sola biblioteca) i luoghi d’interesse non mancano. D’altronde Doha dà l’impressione di una città che nasce e si rinnova in continuazione e il numero impressionante di cantieri, che stanno rifacendo il look al celebre lungomare della Corinche, racconta questo dinamismo inesauribile. A partire dal Museo nazionale del Qatar (ingresso 50 riyal, circa 12 euro ma gratis per tutti gli under 16 e con sconto del 50% per gli studenti stranieri), l’iconico edificio su più livelli disegnato dall’architetto francese Jean Nouvel come una rosa del deserto di 40mila metri quadrati. È stato inaugurato nel 2019 e ingloba anche il vecchio palazzo d’inizio ‘900 dell’emiro Abdullah bin Jassim: dentro, in un’esperienza multimediale davvero curata, si attraversa l’intera storia del paese dalla sua archeologia – come i 38 petroglifi scoperti un po’ in tutta la penisola – alla fauna segnata dagli affascinanti e rari orici e alla flora passando per la cultura beduina, le tecniche di pesca delle perle che erano la principale fonte di sostentamento della popolazione all’inizio del secolo scorso, all’epoca del primo protettorato britannico, arte e decorazione. Fino alla cronaca della costruzione, certo un po’ celebrativa ma comunque utile, di uno Stato moderno a partire dai due villaggi di Doha (“ad dawha”, cioè il grande albero) e Al-Bidda, praticamente dal nulla. Le immagini di appena 40 anni fa confrontate a quelle di oggi fanno effettivamente impressione: la popolazione del paese era di appena 223mila persone nel 1980, salite a 592mila nel 2000 ed esplose a 2.8 milioni lo scorso anno. Definire il Qatar cosmopolita è un eufemismo.
In uno slalom fra gli stadi costruiti per i mondiali (fra i quali vanno almeno segnalati quello di Al-Bayt ad Al Kohr, a mezz’ora a Nord di Doha, disegnato sulle forme di una tenda beduina in grado di cambiare colore e ospitare 60mila spettatori e che ospiterà la partita inaugurale e finale, e quello smontabile e modulare di Ras Abu Aboud poco a Nord dell’aeroporto costruito con container dismessi e in grado di essere poi trasferito altrove, 40mila posti) una tappa imperdibile, a cui dedicare qualche ora, è l’Education City. Non prima, ovviamente, di aver trascorso qualche ora a spasso per The Pearl, l’arcipelago artificiale che ospita anche una piccola Venezia ricostruita ma soprattutto, ben più interessante, il polo ricreativo di Katara, casa di manifestazioni, eventi, mostre e soprattutto di una spiaggia completamente attrezzata, con l’ottimo ristorante Boho Social. A proposito di spiagge: non ne mancano su tutta la costa. Oltre a Katara e alla Purple Island dove fare kayak la parte più gettonata è senz’altro quella della Sealine beach che costeggia il deserto a Sud Est: 44 chilometri nel corso dei quali fare sosta in posti come il Regency Sealine Camp e magari riposare una notte in tende fornite di ogni comfort. Occhio al deserto, però: meglio evitare avventure in solitaria e affidarsi a gite organizzate e in sicurezza, con autisti esperti. Costano circa 250 euro e ci si impiega mezza giornata da Doha.
L’Education City, si diceva. Un enorme polo di 12 chilometri quadrati a Ovest di Doha dove hanno sede alcune fra le più prestigiose istituzioni accademiche e di ricerca internazionali: ci sono le sedi della Carnegie Mellon, della Georgetown, la facoltà di giornalismo e comunicazione della Northwestern, della Texas A& M university e ancora la Virginia Commonweath university School of the arts, della Weill Cornell Medicine, dell’Hec di Parigi, l’istituto di alti studi commerciali, molte accademie locali che spaziano dalla musica alla tecnologia, dalla scienza alla pedagogia per persone con bisogni particolari. All’interno c’è anche la Biblioteca nazionale del Qatar (ingresso gratuito) una specie di Babele da oltre un milione di libri, con sistemi automatizzati di richiesta e consegna dei volumi, aule attrezzate per studio e ogni genere di bisogno multimediale, biblioteca per bambini con più di 100mila titoli e soprattutto un labirinto seminterrato a vista ricco di testi e documenti storici (fra cui una pagina del famoso Corano Blu andaluso del IX secolo), mappe e fotografie. Un gigantesco salotto da 45mila metri quadrati progettato dall’olandese Rem Koolhaas dove tre sterminate scalinate di librerie ascendenti circondano il visitatore, quasi come in un templio dedicato alla cultura. E da dove ripartire con un’idea profondamente diversa di quella che si poteva avere di Doha e dintorni prima del decollo.