I vini italiani certificati VIVA (certificati nell’ambito del programma italiano VIVA, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) promossi per quanto riguarda il loro impatto ambientale, infatti, specie per quelli frizzanti, l’impatto è leggermente inferiore rispetto al benchmark europeo di riferimento. L’impianto di nuovi vigneti, e il connesso cambiamento d’uso del suolo, l’utilizzo di energia nelle cantine e l’imballaggio del prodotto (principalmente vetro!) sono i fattori che contribuiscono maggiormente all’impronta ambientale dei vini italiani.
Sono alcuni dei risultati che si evincono da uno studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, condotto dai professori Ettore Capri, ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali per una filiera agro-alimentare sostenibile (DISTAS) dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, e Lucrezia Lamastra, associata di Chimica Agraria presso lo stesso dipartimento si è occupato di valutare l’impronta ambientale di alcuni vini italiani con la metodologia PEF, promossa dalla Commissione Europea. Questa metodologia nasce per standardizzare la valutazione degli impatti ambientali ed offre un benchmark di riferimento per singola categoria di prodotto (il vino in questo caso) rispetto al quale confrontare gli impatti relativi al prodotto in analisi. Oggi c’è una pressante richiesta di strumenti precisi per quantificare la sostenibilità e valutare il contributo di prodotti e processi allo sviluppo sostenibile. Nel 2013, la Commissione Europea ha introdotto un indice chiamato Impronta Ambientale di Prodotto (PEF), fornendo una metodologia standardizzata per valutare gli impatti ambientali dei prodotti in diversi settori industriali. La PEF si misura valutando l’impatto ambientale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. In particolare, per calcolare la PEF di un prodotto si considerano consumi di energia, materie prime, emissioni e rifiuti, analizzando 16 categorie di impatto ambientale (es. emissioni di CO?, acidificazione, consumo idrico, deplezione dello strato di ozono, formazione di smog fotochimico e particolato fine) per produrre quel dato prodotto.
I VINI ITALIANI
La produzione vitivinicola italiana dell’annata 2024, Secondo i dati presentati da Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini (Uiv), si attesta a 41 milioni di ettolitri in crescita del sette per cento rispetto all’anno passato. Sebbene i volumi risultino inferiori rispetto alla media dell’ultimo quinquennio, l’Italia si conferma primo produttore mondiale.
LA SOSTENIBILITÀ DELLA PRODUZIONE VINICOLA
Nonostante il suo potenziale e la disponibilità di linee guida specifiche per il vino, l’applicazione della PEF rimane praticamente inesplorata nel settore. Questo studio contribuisce alla conoscenza applicando la PEF per valutare gli impatti ambientali della produzione italiana di alcuni vini fermi e spumanti rispetto ai benchmark europei, spiegano gli autori. Inoltre, mira a individuare i punti nevralgici e a fornire indicazioni per strategie di mitigazione efficaci.
Nello studio sono stati inclusi 27 vini certificati nell’ambito del programma italiano VIVA, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE di cui UCSC è referente scientifico dal 2010) lanciata nel 2011 per promuovere la sostenibilità nella filiera vitivinicola italiana. Di questi 27 vini sono state raccolte e utilizzate tutte le informazioni necessarie per eseguire una valutazione del ciclo di vita in conformità al protocollo PEF.
“Abbiamo preso 27 vini certificati VIVA e abbiamo confrontato la loro impronta ambientale di prodotto (PEF) con il valore di riferimento (benchmark – BM) fornito dalla metodologia PEF – spiega Lamastra. La metodologia PEF fornisce un benchmark di riferimento livello europeo, diverso per vini fermi e frizzanti. Pertanto, i vini VIVA sono sati suddivisi in fermi e frizzanti ed il loro valore confrontato al BM. I risultati hanno dimostrato che i vini fermi analizzati sono leggermente più impattanti del BM, mentre i vini frizzanti sono meno impattanti”.
“Bisogna considerare, però – precisa l’esperta – che il benchmark europeo rappresenta un ipotetico vino medio europeo piuttosto che uno specifico vino in particolare. La più bassa performance dei vini fermi italiani in questo studio può, in parte, essere attribuita all’uso esclusivo di bottiglie in vetro, mentre il benchmark europeo tiene conto dell’utilizzo, almeno in parte, di bag-in-box e bottiglie in PET, non sempre compatibili con la qualità dei nostri vini. Infatti, quando il confronto viene fatto con i vini frizzanti, dove anche il riferimento europeo è confezionato nel vetro per esigenze legate alle specifiche del prodotto (i vini frizzanti non possono essere imbottigliati in bag in box o tetrapack), i vini italiani analizzati sfoggiano performance migliori del benchmark di riferimento europeo. Al di là delle differenze negli impatti complessivi, si nota, dal confronto con il benchmark, un diverso contributo dato dai vari fattori in gioco (risorse idriche, terreno, etc) all’impatto complessivo. Il benchmark europeo è caratterizzato da una maggior impatto sulla scarsità idrica e sull’acidificazione dovute ad un maggior ricorso all’irrigazione e all’applicazione di fertilizzanti. Se si analizzano invece le fasi del ciclo di vita che contribuiscono maggiormente agli impatti ambientali, si vede come contribuiscano in modo significativo l’impianto di nuovi vigneti, l’uso di energia in cantina e il packaging impiegato”.
Questo tipo di analisi ha ricadute potenzialmente importanti: uno studio PEF, infatti, non permette solo di analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, ma anche di offrire suggerimenti per migliorare il profilo della sostenibilità portando a individuare misure di mitigazione efficaci rispetto agli obiettivi, spiegano i professori Capri e Lamastra. Pertanto, le soluzioni più efficaci sono quelle in grado di ridurre i “punti critici” evidenziati dall’analisi. I processi che contribuiscono maggiormente in questo senso, concludono gli esperti, restano la fase di trasformazione (con i connessi usi energetici) e il packaging. “Lo shift verso energie rinnovabili e verso packaging più leggeri e sostenibili potrebbe rivelarsi un driver importante”, sottolineano. A tal proposito si può fare l’esempio della Sicilia. Alcune aziende certificate VIVA siciliane, aderenti anche al protocollo SOStain, hanno stretto un accordo con OI e SARCO per produrre bottiglie da riciclo di vetro siciliano più leggere (3 punti a favore: bottiglie al 90% di vetro riciclato, più leggere e da filiera di riciclo completamente siciliana).
Affrontare questi elementi potrebbe migliorare la competitività ambientale del settore vinicolo italiano rispetto alle sue controparti europee. Tuttavia, per convalidare questi risultati, sono necessari ulteriori studi, sia in Italia che in altre regioni vinicole europee. Tali iniziative di ricerca miglioreranno e rafforzeranno la metodologia PEF, favorendone l’adozione come strumento primario per la valutazione dell’impatto ambientale del vino a livello comunitario.