Diciamolo noi, prima che ce lo dicano gli altri, i nemici dell’ambiente, i negazionisti del cambiamento climatico, i gattopardi della transizione ecologica fatta con i combustibili fossili: la sostenibilità è un’altra cosa. Quella vista ai Giochi di Parigi 2024 è piuttosto una sostenibilità insostenibile, nel senso che nessuno la vuole davvero. Non è sostenibile – ma di più, non è accettabile – costringere gli atleti del triathlon a nuotare nella Senna inquinata anche se hai investito un miliardo e 400 milioni di euro per renderla finalmente balneabile dopo 100 anni, progetto lodevole, addirittura visionario, ma l’operazione evidentemente non è ancora riuscita (lo dicono i dati, pubblicati ogni giorno sul web in tempo reale da una startup francese; ma lo confermano purtroppo i tre atleti ricoverati dopo la gara del 31 luglio). E non è sostenibile neppure negare l’aria condizionata agli atleti nel Villaggio Olimpico a vantaggio di un sofisticato sistema di raffrescamento naturale tramite dei tubi sotterranei, che andrà benissimo il resto dell’anno, ma non nei dieci giorni in cui a Parigi di solito c’è la canicule (che non è il caldo estremo registrato in Italia ma poco ci manca), soprattutto se sei un atleta che ha atteso quattro anni per dare il massimo in gara proprio in quei giorni. La foto di Thomas Ceccon che si fa un pisolino nel parco per sfuggire al caldo del dormitorio ha fatto il giro del mondo. Si poteva evitare? Sì.
Qualcuno insomma ha esagerato, si è fatto prendere la mano dall’entusiasmo forse. Comprensibile ma imperdonabile se il risultato sarà allontanare la gente comune dalla sfida del cambiamento climatico, la vera Olimpiade che si vince tutti assieme o si perde. Nel tentativo di realizzare davvero “i Giochi più sostenibili della storia” dopo troppe edizioni segnate da cementificazione, sprechi, plastica ovunque ed emissioni di anidride carbonica fuori controllo, al Comitato Olimpico Internazionale si era deciso di cambiare rotta. Era ora. Ma in alcuni casi l’asticella è stata alzata così tanto da ottenere l’effetto contrario: sta passando il messaggio che la sostenibilità ambientale sia probabilmente impossibile, sicuramente fastidiosa, in qualche caso addirittura stupida. Un boomerang.
Eppure in questi giorni Parigi è più bella che mai. Gli stadi sono stati realizzati in alcuni degli edifici e dei luoghi più iconici della città, senza costruirne di nuovi; centinaia di migliaia di persone la attraversano a piedi, ma moltissimi vanno in bicicletta. Ci sono bici ovunque, con piste ciclabili collegate a corsie preferenziali senza soluzione di continuità. Sembra una città del futuro, con le automobili fuori dal centro. Certo, bisognerà vedere se questa mobilità dolce resisterà quando i parigini torneranno dalle vacanze ma intanto esiste, funziona, tutti possono vedere che meraviglia è una città libera dal traffico automobilistico. In giro poi non ci sono le immancabili tracce dei grandi eventi sportivi o musicali: quei tappeti di bicchieri e bottigliette di plastica calpestate che le persone gettano via dopo aver bevuto. A Parigi non ci sono non perché il servizio di nettezza urbana sia particolarmente efficiente, ma perché non le vendono. Se chiedi dell’acqua, in uno dei chioschi ufficiali, te la danno in un bel bicchiere riutilizzabile per 4 euro e 50, ma 4 euro costa il bicchiere e te li restituiscono se lo riporti. Funziona. Si può fare. Da questo punto di vista l’impatto sui comportamenti delle persone è enorme. Se a questo si aggiunge che l’energia elettrica utilizzata per gli impianti di gara è rinnovabile, ce n’era abbastanza per dire: okay, abbiamo fatto la nostra parte. Ci si poteva fermare lì.
E invece si è voluto far giocare la partita della sostenibilità anche a chi è a Parigi per fare altro, la partita della vita, quella per cui si allena da anni: gli atleti. Prima ancora della questione della Senna, le scelte sostenibili si sono concentrate al Villaggio Olimpico a nord di Parigi, un importante progetto di riqualificazione urbana di un quartiere periferico trasformato in un esempio di edilizia ecologica e quindi con un sistema di raffrescamento naturale al posto dell’aria condizionata; ma anche con degli ingegnosi lettini di cartone e dei materassi fatti con fili di reti da pesca riciclate. Bellissimo, ma per un concorso di design: siamo sicuri che fosse la scelta giusta per la notte prima della gara di un atleta olimpico? E va bene levare le bottigliette di acqua di plastica dai bar, ma ci si poteva almeno accertare che le borracce per gli atleti fossero termiche e non dovessero bere acqua calda, come lamentato dal nostro Lorenzo Musetti al Roland Garros? Infine: aggiungere le opzioni vegetariane e vegane al menù era doveroso, ma era necessario anche vietare le patatine fritte (le “french fries”) oltre al foie gras “perché le oche soffrono”?
Un reporter del Guardian ha scritto con entusiasmo, che più che i Giochi Olimpici a Parigi sembra di stare ad una manifestazione di Extinction Rebellion ma non è un vero complimento. Quello che non va mai fatto, se vogliamo vincere le Olimpiadi del cambiamento climatico, è far passare il messaggio che la sostenibilità debba sempre essere una rinuncia al nostro stile di vita anche quando non è necessario, come se dovessimo espiare qualcosa: In molti casi è così: il consumismo, la cultura dello spreco sono il male da combattere. Ma in altri no. Parigi 2024 ha fatto un balzo enorme sulla strada della sostenibilità di un grande evento: bisogna levare le esagerazioni e ripartire da lì.