Ho letto (e riletto incredulo dopo la prima scorsa) il contributo di Barbara Nappini intitolato “Basta animali come macchine da produzione” pubblicato su Green&Blue. Incredulo perché, secondo le argomentazioni della dottoressa Nappini, ho sbagliato mestiere essendomi dedicato per tutta la vita, da professore di Zootecnia, a studiare e trasferire a studenti e allevatori le conoscenze della scienza dell’allevamento e delle produzioni animali. Per la dottoressa Nappini, non avrei sbagliato da solo, ma sarei in compagnia di circa un milione di studiosi e tecnologi che nel mondo svolgono questa attività migliorando le condizioni di vita di miliardi di animali, dei loro allevatori e fornendo all’umanità il 38% delle proteine e il 55% degli aminoacidi essenziali per la vita. Probabilmente il modello che ha in mente la dottoressa Nappini è quello doumentato da Ermanno Olmi nel film “L’albero degli zoccoli”, ambientato in una padana fredda, povera e affamata, dove gli animali erano sottoposti alle stesse, se non peggiori, privazioni degli uomini e ne condividevano la misera sorte. Consiglio alla dottoressa Nappini di vedere (o rivedere nel caso) le scene delle vacche mantenute alla catena (bei vecchi tempi, vero?) nelle stalle sottostanti le abitazioni delle cascine (oggi in vendita a prezzi esorbitanti), anche per stemperare con il loro calore i rigori invernali, e di soffermarsi sulla disperazione della vedova Runc alla diagnosi infausta del veterinario che le consiglia di macellare la loro unica vacca. E sì, gran bei tempi, i tempi andati, se non fosse che per la maggioranza degli abitanti di quella Italia povera e contadina la vita era costellata di cavolacci amari. Taccio sulla scena dell’uccisione del maiale, perché parla da sola, ma Olmi ce la presenta con la forza dell’ineluttabilità tutta di matrice culturale e non ideologica. Poi arrivò la Zootecnia, pratica agricola e veterinaria, che dai primi del ‘900 iniziò a sollevare le sorti sia degli animali (meglio alimentati, meglio curati e perciò meglio allevati) che dei loro allevatori. Memorabili le prime cattedre ambulanti, e poi le mostre per la vendita dei soggetti miglioratori per il latte e per la carne. Da ricordare con riconoscenza la nostra rivoluzione industriale degli anni ’50 che diventa anche rivoluzione agricola e inizia a garantire cibo sufficiente e carne, latte e uova per una fascia sempre più ampia della popolazione. Tanto che oggi, come è noto, siamo arrivati perfino a lamentarci di tanto benessere.

Benessere che ci ha fatto aumentare di altezza (vedasi la correlazione strettissima fra statura alla leva e consumo di alimenti animali rilevata fino agli anni ’80 del secolo scorso) e ha allungato l’aspettativa di vita dei nostri connazionali. Benessere umano che è derivato anche dalla Zootecnia, la scienza che per prima si è occupata anche dell’analogo aspetto per gli animali: lo sa la dottoressa Nappini che le vacche delle aree alpine che hanno trascorso l’inverno in stalla (al chiuso, ben protette dal gelo e con l’abitudine alle compagne: sarà un caso di allevamento intensivo?) una volta portate in alpeggio mostrano un elevato grado di stress, misurato dall’aumento degli ormoni dell’asse ipotalamo-surrenale e dal brusco calo del latte? Oppure le sfugge che, al contrario di considerare gli animali delle macchine come lei sostiene, gli allevatori, anche quelli dei vituperati allevamenti intensivi, li rispettano al punto da mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella dei propri capi da incendi e alluvioni. Nel caso non ci credesse, potrebbe verificare dalle cronache se qualche allevatore ha rischiato altrettanto grosso per sottrarre un trattore o un fienile da un incendio.

Sarebbe lungo spiegare i benefici che le scienze animali, al pari di tutte le altre scienze agrarie, hanno portato all’umanità, prima di tutto con l’aumento delle disponibilità di alimenti senza la quale le scienze mediche sarebbero state disarmate e le altre totalmente inutili.

Noi Zootecnici, studiosi e tecnologi delle scienze e delle produzioni animali, siamo ogni giorno impegnati, con i piedi ben piantati per terra e gli occhi rivolti al futuro, per garantire cibo sano, giusto, sostenibile ed etico a quanta più umanità possibile. Speriamo che altrettanto possa dichiarare Slow Food sulla cui bontà di intenzioni non nutriamo nessun dubbio.

 

(*Giuseppe Pulina è Presidente Emerito dell’Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali)