Alzi la mano chi, dopo quel che è accaduto ad Aurelia, non avrebbe immediatamente mollato. Immaginatevi di essere una ragazza, poco più che ventenne, che per via di quelle paure e quelle pulsioni interne dovute all’inazione per il clima, oppure per l’ecoansia di cui soffre, dopo un lungo percorso finalmente si decide e partecipa alla sua prima azione di Extinction Rebellion: passano pochi minuti, lei sta semplicemente distribuendo volantini e viene subito fermata dalle forze dell’ordine. Si becca un foglio di via dalla città in cui studia e rischia una denuncia: “Sono andata nel panico” dice. In molti, forse, avrebbero deciso di chiuderla lì, di smetterla di inseguire il sogno di poter cambiare le cose. Invece no, Aurelia Cagnazzo, 24 anni, di Latina, non ha mollato:
Ho trasformato il panico in rabbia e la rabbia in volontà e partecipazione.
E così oggi è ancora lì, tra le fila di Extinction Rebellion Torino, la città dove da cinque anni studia Lettere e dove vorrebbe per ora continuare a vivere, sempre se un domani non diventerà “una profuga ambientale”, dice con un sorriso a metà, perché in fondo il rischio lo sente davvero.
Aurelia, prima ancora di essere una attivista, come si definisce lei stessa è una persona “normale con una vita normale”. Fin da bambina però scalpitava per la necessità di impegnarsi in qualcosa.
“Sono cresciuta in una famiglia attenta ai temi ambientali, ma in realtà la questione climatica l’ho scoperta solo nel tempo. Già a 10 anni, però, avevo alcune idee chiare: per esempio a quell’età sono diventata vegetariana iniziando un percorso ai tempi molto individuale, lontano dalla visione sistemica che ho sviluppato adesso”.
Dal Lazio si è spostata in Piemonte per studiare ed è al primo anno di università che si imbatte nei movimenti verdi: “Era il periodo dei grandi scioperi per il clima, come quelli di Fridays For Future. Era bello, c’erano le piazze piene, e io che avevo un percorso con qualche passaggio nei collettivi partecipavo a quei cortei volentieri. Ma come per i collettivi prima avevo sempre la sensazione di non sentirmi efficace, che forse lo facevo per me, ma non per un riscontro sociale”.
In lei però matura l’idea che proprio l’inefficacia dei governi nel gestire la crisi climatica, che nel frattempo si fa sempre più visibile tra alluvioni e ondate di calore, sia un tema da cui “ripartire”, che possa davvero “unire le persone”. Per ogni unione, però, serve l’amore: il suo, da lì a poco, sarà per Extinction Rebellion. “Ho sempre avuto un legame con la natura, sono cresciuta in una casa piena di animali e faccio attenzione alle questioni ecologiche, però non sono quella che potrebbe vivere in una casa in campagna isolata per sempre. Al contrario, mi piace ragionare sulla società, sui suoi equilibri e sull’idea di combattere il continuo sfruttamento umano delle risorse, come quello degli allevamenti intensivi o delle industrie che creano distruzione e sono specchio di un sistema ingiusto dove la natura, gli animali e la Terra sono trattati come territori da saccheggiare. Ma per poter sviluppare questi temi, mi mancava il colore, o forse l’amore che ho poi provato per Extinction Rebellion”.
L’amore si concretizza un paio di anni fa: “Avevo letto un articolo in cui raccontavano il movimento e mostravano foto di persone in festa, colorate, che si battevano per il clima. Un metodo di lotta nuovo, direi. Li stavo seguendo da un po’ a Torino finché un amico di Extinction Rebellion Svezia mi ha invitato ad un aperitivo con ragazze e ragazzi del movimento. All’inizio ero molto titubante, mi piaceva però la loro visione globale sulle ingiustizie climatiche e sociali”.
Una prima “cotta”, perché l’amore vero scatta nella maniera più inaspettata. “La miccia direi che è stata la mia prima azione: erano passate solo due settimane da quell’incontro e mi ero convinta a dare una mano distribuendo volantini in piazza a Torino. Sono stata fermata e mi sono presa un foglio di via. Davanti a quella conseguenza legale la risposta di Extinction Rebellion è stata di grande accoglienza, mi hanno aiutata a gestire la cosa, mi sono sentita tutelata e sostenuta. E allora, sapendo di non essere una persona pericolosa, ho capito che quella repressione metteva in luce che il sistema se la prendeva con le persone sbagliate e soprattutto che la disobbedienza civile funziona, è capace di scoprire i nervi, di far riflettere le persone sul clima. Era scattato l’amore, la voglia di impegnarmi ancora con Extinction Rebellion”.
Ovviamente però quando a vent’anni si rischia una denuncia, all’inizio è dalla famiglia che ti rifugi. “Con alti e bassi, come accade a tutti. Mia madre – prosegue Aurelia Cagnazzo – viene da un passato nei movimenti sociali: mi ha sempre detto che con la giustizia lei non aveva mai avuto problemi, ma che dovevo capire cosa volevo e quanti rischi ero disposta a prendermi. Alla fine, mi ha aiutata a comprendere che volevo combattere per quello in cui credevo”.
Oggi Aurelia è impegnata costantemente con Extinction Rebellion. Se fa l’attivista è sia perché “mi piace il processo di chiamata alla partecipazione del movimento dove, dalle riunioni ai ruoli, propone la società che vorrei: poche gerarchie e molte responsabilità. Sia perché sono convinta che la disobbedienza civile aiuti le persone a riflettere sulla crisi climatica”.
In quello che fa è determinata, ma continua a soffrire di ecoansia, soprattutto se guarda avanti. “Non so esattamente cosa sia, ma più che altro ho difficoltà ad immaginare il futuro: è una grande nebulosa, fatta di instabilità politica e ambientale. Uscita dal cinema, guardando “Siccità” di Virzì, continuavo a pensare quanta fatica faremo nel tempo ad accedere alle risorse. In alcune parti del mondo è già così. Anche qui inizia ad accadere: la neve ormai la producono i cannoni, sia il Po che la Dora per la maggior parte del tempo sono in secca. Non credo che dovrò aspettare molto: in cinque anni Torino – dove già ora l’estate è invivibile – cambierà. In futuro forse anche io sarò una profuga ambientale”.
Eppure, nonostante ansie e preoccupazioni, da quel giorno dei volantini, per Aurelia è scattato anche altro, l’idea che l’incertezza sarà meno tale se trasformata in impegno. “Sì, provo rabbia e preoccupazione, ma la sfida è trasformarle in rumore e colore nelle strade per essere ascoltati, per far capire anche ad altri per cosa lottiamo. Ripeto, siamo persone normali che però hanno fatto una scelta: quella di non vivere nella paura e di fare qualcosa per un futuro migliore. Come? Prendendo gli strumenti della democrazia e usandoli per coinvolgere sempre più persone”.