Misurano meno di cinque millimetri, ma riescono a mettere a rischio intere specie vegetali e ittiche. Fanno male alla salute perché provengono dalla frantumazione dei rifiuti dispersi nell’ambiente, ma possono essere anche un rifiuto primario, come nel caso di pellet industriale, fibre tessili dalle lavatrici o microsfere utilizzate nella cosmesi. Sono le microplastiche sparse nell’acqua, ossia particelle di sostanze tossiche talmente abbondanti da condizionare pesantemente non solo l’ecosistema marino, ma anche quello lacustre e fluviale. E influire sulla salute delle specie ittiche e, attraverso il loro consumo, per l’uomo. E se delle microplastiche nei mari sappiamo molto, su quelle che inquinano laghi e fiumi un po’ meno. 

Il primo studio nel lago Maggiore, Iseo e Garda

Ad accendere un faro su quanto nei laghi italiani stiano mettendo in pericolo la biodiversità, ma anche la qualità dell’acqua, sono tre studi condotti da un team di ricercatori di Enea e Cnr in collaborazione con Goletta dei Laghi e Legambiente e resi pubblici in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, il 5 giugno. 

Il primo studio prende in esame i grandi laghi subalpini del Nord Italia, Maggiore, Iseo e Garda dove le analisi condotte insieme a Legambiente hanno mostrato la presenza dominante di frammenti di plastica (circa il 74%), di palline di polistirolo (quasi il 20% del totale) di polietilene (45%) e polipropilene (15%). “Le concentrazioni più elevate sono in prossimità di input fluviali e restringimenti del bacino idrico – spiega Maria Sighicelli del Laboratorio Biodiversità e Servizi ecosistemici di Enea che continua – nei tre laghi, c’è un’abbondanza di microplastiche media per km2 rispettivamente di 39mila, 40mila e 25mila simili solo a quelli riscontrati in alcuni grandi laghi americani e in alcuni laghi svizzeri“.

Il secondo studio: Trasimeno, Bracciano e Paola

Nel secondo studio, si è aggiunta la collaborazione dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (Irsa) del Cnr di Roma (Irsa-Cnr) e oltre ai laghi Iseo, Como, Maggiore e Garda sono stati indagati il Trasimeno in Umbria e quelli di Bracciano e di Paola nel Lazio. L’obiettivo è stato analizzare i biofilm batterici associati alle microplastiche, la cosiddetta platisfera. In pratica quella massa di batteri, alghe e virus che si forma sulla superfice dei rifiuti provenienti dalla plastica. Un insieme di comunità microbiche di solito racchiusi da una sostanza dalla consistenza gelatinosa. Che vediamo galleggiare sulla superficie dell’acqua.

Spiega Francesca Di Pippo dell’Irsa-Cnr di Roma: “Attraverso tecniche di biologia molecolare e di microscopia a scansione laser è stata indagata la struttura della platisfera, differente per ogni lago. Così è stata evidenziata la presenza di batteri coinvolti nei processi di biodegradazione delle plastiche, mentre sono tuttora in corso studi volti alla comprensione dei meccanismi di adesione dei microrganismi alle microplastiche, dei processi di biodegradazione e del ruolo delle microplastiche come veicolo di trasporto e di  diffusione di geni di resistenza agli antibiotici, di microrganismi patogeni e/o microalghe tossiche per gli organismi acquatici e per l’uomo”. Insomma, un problema gravissimo non solo per pesci, uccelli e flora e non solo a causa degli additivi tossici della plastica, ma anche per quello che la platisfera può contenere, microorganismi potenzialmente dannosi anche per la salute dell’uomo. Il veicolo sono i pesci che poi arrivano sulle tavole.

Il terzo studio: cosa mangia il pesce persico

A questo proposito c’è il terzo studio condotto dal team di ricercatori Enea con l’Irsa-Cnr di Verbania. Nel mirino: i rischi delle microplastiche per la salute delle specie ittiche e, attraverso il loro consumo, per l’uomo. In particolare, sono stati raccolti dati sull’ingestione di microplastiche da parte del pesce persico (Perca fluviatilis), una delle specie d’acqua dolce più diffusa e commercialmente sfruttata.

 “Dai laghi di Garda, Como, Orta e Maggiore abbiamo prelevato 80 esemplari di pesce persico per quantificare e analizzare le microplastiche presenti nel tratto gastrointestinale tramite analisi chimiche e morfometriche – sottolinea Silvia Galafassi dell’Irsa-Cnr di Verbanianell’86% degli individui abbiamo trovato frammenti di derivazione antropica, con medie più basse nel lago di Como (1.24  1.04) e più alte nel lago di Garda (5.59  2.61). I polimeri più frequentemente trovati sono quelli che hanno largo impiego nell’industria – polipropilene, polietilene tereftalato (Pet), poliammide e policarbonato; inoltre nei pesci con un maggiore contenuto di microplastiche è stata riscontrata una più bassa frequenza di alimentazione, effetto che evidenzia come le microplastiche interferiscano direttamente con l’attività predatoria del pesce persico, come già evidenziato per altre specie”. 

Secondo le stime dell’Onu entro il 2050 saranno oltre 5 miliardi gli esseri umani a rischio di carenza di acqua pulita a causa di continui prelievi, inquinamento, cambiamento climatico, contaminazioni da metalli pesanti, sostanze tossiche ed anche in misura crescente microplastiche. Perché, malgrado l’acqua ricopra quasi il 70% del nostro pianeta, quella dolce superficiale, maggiormente utilizzata, rappresenta solo l’1,2% del totale. Ed è proprio questa piccola percentuale, necessaria per sostenere e nutrire 7,9 miliardi di persone. Quella parte così preziosa e così a rischio. 

 

Gli studi:

ENEA-Legambiente (“Environmental pollution”)

ENEA-Legambiente-IRSS-CNR di Roma (“Water Research”)

ENEA – IRSA-CNR di Verbania (“Environmental pollution”)