A volte potremmo forse avere l’idea che l’intelligenza artificiale, in tutte le sue variegate forme, sia immateriale. Niente di più sbagliato: i sistemi di AI sono fin troppo concreti, e il loro impatto sulla salute del pianeta rischia di essere una ulteriore minaccia. Su Nature computational science, infatti, è appena uscito uno studio che invita a considerare il rischio, annunciando che di qui al 2030 potremmo accantonare 5 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici solo per “colpa” dell’AI. Cifre considerevoli, dato che la produzione di rifiuti elettronici annuali supera già da tempo 60 milioni di tonnellate all’anno. Ma ci sono ampi margini perché questo non succeda, avvertono al contempo gli autori.
Le previsioni del team guidato da Peng Wang della Chinese Academy of Sciences sono simili – concettualmente- a quelle che vengono eseguite negli studi sui cambiamenti climatici. Ovvero, gli effetti di quello che potremmo osservare in futuro dipendono ovviamente dalle nostre azioni, tanto dalle attività di utilizzo e produzione di beni e servizi, quanto dalle attività di mitigazione degli effetti che quei beni e servizi producono sull’ambiente. Così, procedendo con questa logica, i ricercatori hanno stimato gli effetti di utilizzi più o meno intensivi di servizi di intelligenza artificiale in termine di produzione di rifiuti elettronici. In questo modo, scrivono, hanno cercato di colmare un gap nel campo: spesso infatti si tende a stimare gli effetti dell’AI sull’ambiente limitandosi a calcolare emissioni e consumi energetici, senza prestare adeguata attenzione ai rifiuti elettronici. Problematici soprattutto perché gran parte di questi non viene smaltita correttamente, con rischi per l’ambiente ed enorme spreco di materiali preziosi, avvertono da tempo gli esperti nel campo.
Per avere un’idea della mole di rifiuti potenzialmente prodotti nel prossimo futuro, gli scienziati guidati da Wang hanno calcolato il flusso di materiali collegati all’AI generativa, concentrandosi sui sistemi per i large language model (LLM). E se da una parte, come anticipato, le loro previsioni parlano di notevoli aumenti nella produzione di rifiuti elettronici, molto è anche quello che possiamo fare. Entrando nel merito delle loro stime, i dati mostrano che – ovviamente – i consumi maggiori si avrebbero per gli utilizzi più estensivi delle tecnologie di AI. In questo caso questo equivale a circa 2,5 milioni di tonnellate nel 2030, equivalente per avere un’idea, scrivono i ricercatori, a circa 13 miliardi di iPhone.
Nello scenario più conservativo avremmo circa 0,4 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici (solo due miliardi di iPhone in tal caso). Le aree che più contribuiranno saranno – anche qui con poca sorpresa – Nord America (da solo quasi il 60%), seguita da Asia Orientale ed Europa.
Ci sono però ampi margini di miglioramento. Usare più a lungo dispositivi e componenti, aumentare le capacità di riciclo e riutilizzo, e magari incrementare l’efficienza dei chip, sono azioni che potrebbero ridurre i rifiuti elettronici dal 16% all’86%, puntualizzano gli esperti. Ciò a testimonianza che se i trend da un lato appaiono abbastanza chiari, non mancano neanche le possibilità di contenerne le conseguenze. I dati snocciolati dai ricercatori vanno interpretati con cautela. Sono diverse infatti le incertezze – sia al ribasso che al rialzo, legate a diverse efficienze dei dispositivi o modalità di utilizzo dei sistemi di AI – ma a incidere saranno anche le condizioni geopolitiche e la conseguente disponibilità di componenti e materiali (in primis dei superconduttori), concludono gli autori.