La moda inquina. In totale questa industria produce più gas climalteranti che Francia, Germania e Inghilterra, ovvero 2,1 miliardi di tonnellate di CO2, il 4% delle emissioni globali. Sono dati calcolati da McKinsey&Company, la multinazionale che analizza i mercati e da Global fashion Agenda, una organizzazione che propone la moda sostenibile, che sono stati pubblicati nel rapporto Fashion on climate. Purtroppo, nonostante ormai da parecchi anni si cerchi di creare una moda a basso impatto ambientale, nel 2017 a livello globale solo il 20% dei vestiti veniva riusato o riciclato. Il resto, pari a un valore di 87 miliardi di euro, finiva invece nelle discariche o negli inceneritori.

Per analizzare questo settore e migliorarne la sostenibilità l’SDA Bocconi School of Management Sustainability Lab ha creato il Monitor for circular fashion, una comunità scientifica e tecnologica allo scopo di contribuire alla transizione verso modelli di produzione circolare, di cui fanno parte alcune delle compagnie più importanti della moda italiana con il supporto di Enel X, la società del Gruppo Enel che fornisce prodotti e servizi al servizio della trasformazione energetica a livello domestico, cittadino e industriale in un’ottica di sviluppo sostenibile.

Ha presentato in giugno il Circular Fashion manifesto all’Unece, la Commissione economica per l’Europa delle nazioni Unite e ora ha portato a termine il primo rapporto dedicato alle tendenze del settore e all’effettiva capacità aziendale di portare a termine i principi dell’economia circolare lungo tutta la filiera. Sono stati coinvolte 14 grandi marche, venditori e fornitori di servizi e un comitato di consulenti esperti. Tra le marche compaiono Vibram, Vivienne Westwood, Oscalito, Ovs, Candiani denim, Save the duck.

I risultati del rapporto presentano indicazioni per la misurazione della circolarità nel settore moda e per la proposta di una Managerial Agenda, con azioni concrete da intraprendere per il miglioramento della performance di circolarità di ciascuna azienda e dell’intero settore.

Nello studio emerge che la maggior parte delle aziende, nonostante le difficoltà della pandemia, hanno aumentato nell’ultimo anno e mezzo gli investimenti in sostenibilità. Il Covid-19 può dunque essere considerato un acceleratore della trasformazione verso la sostenibilità e la circolarità del settore moda.

Gli sforzi si sono concentrati principalmente nel design, ossia nella creazione di prodotti con un alto potenziale di circolarità grazie all’utilizzo di materiali  riciclati, organici o realizzati con tecnologie innovative che permettono il risparmio di risorse.

La ricerca si è basata su una serie di report, questionari e interviste. Oltre all’impatto del Covid si è focalizzata sulle norme europee che permettono la transizione e sui modelli di business.

Sono state identificate 14 principali attività di circolarità: il design, la co-creazione, le soluzioni modulari, gli input circolari, la produzione on-demand, la riparazione, l’affitto, la commercializzazione dei prodotti di seconda mano, la creazione di piattaforme P2P, la rigenerazione e il riciclo, il riuso, l’uso degli scarti, la gestione dei rifiuti e la logistica.

Le aziende hanno confermato un interesse sempre maggiore verso la co-creazione e l’on demand, ma sono ancora in fase embrionale le soluzioni relative al post vendita, ovvero i servizi di riparazione e manutenzione dei capi, programmi di ritiro dei capi e commercio di seconda mano.

Anche per quanto riguarda l’utilizzo di energia c’è ancora molto da fare: è emerso che pochi si approvvigionano di elettricità da fonti rinnovabili per i propri stabilimenti o sono muniti di sistemi per il monitoraggio e la riduzione dei propri consumi.

Nella parte conclusiva viene presentata una Managerial Agenda, con la proposta di azioni concrete per migliorare la circolarità, con l’obbiettivo di poterla misurare concretamente e anche coinvolgere gli utilizzatori finali, non più considerati solo come consumatori. Tra le azioni da intraprendere una è particolarmente importante e riguarda la misurazione dei livelli attuali di CO2 e la strutturazione di piani di efficientamento energetico e di ammodernamento degli impianti. Le emissioni attuali delle aziende coinvolte nello studio potrebbero essere ridotte del 30% grazie a politiche di fornitura di energia elettrica da fonti rinnovabili e investimenti in impianti di auto-generazione.

La transizione da una economia lineare a una circolare sarà fondamentale per raggiungere gli obbiettivi di sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030. L’industria della moda sembra essere pronta, anche se non tutto è ancora stato messo in pratica.