Mi serve davvero questo prodotto? Forse è la prima domanda da porsi mentre si partecipa alla sfrenata corsa agli acquisti del Black Friday. La seconda invece potrebbe essere: quanto impattano sull’ambiente gli acquisti che sto per fare nel grande venerdì degli sconti? E infine, ci sono alternative più verdi che potrei scegliere a parità di costi? Piccoli ma importanti quesiti che nel giorno del gigantesco shopping online, quello in cui le vendite e di conseguenza anche i trasporti e i consumi energetici aumenteranno vertiginosamente, possiamo provare a porci nel tentativo di capire quanto – il Black Friday – impatti sull’ambiente (e dunque sul nostro futuro).
Calcolare gli impatti ambientali del Black Friday a livello globale non è semplice e mancano cifre e studi completi in grado di restituirci una fotografia aggiornata: sappiamo però che l’inquinamento avviene sotto forma di emissioni (da quelle per la produzione sino ai trasporti e le consegne), di materiali da imballaggio (come la plastica) e perfino per sprechi e inutilizzo, dato che per esempio negli Usa un quarto degli acquisti effettuati tra il venerdì di fine novembre e Capodanno finisce nel dimenticatoio.
A livello di emissioni i calcoli sono complessi e per un Paese come l’Italia si stimano circa 500.000 tonnellate di CO2 equivalente nell’arco della settimana a cavallo del Black Friday.
Come trasporti, in un report di due anni fa a livello europeo, Transport&Envoirement stimava invece 1,2 milioni di tonnellate di CO2 legate ai soli camion che spostano su strada merci in Europa: si parla di 94% in più rispetto a una settimana media, come 7.000 voli da Parigi a New York. Appena fuori Europa, in Gran Bretagna, l’Università di Leeds ha invece stimato solo per il trasporto degli acquisti del Black Friday circa 400mila tonnellate di anidride carbonica, un bel po’ di emissioni, che quest’anno potrebbero oltretutto aumentare secondo le previsioni di altre 30mila tonnellate. Sempre a livello di emissioni dei trasporti, a livello globale, la previsione relativa allo spostamento dei nostri pacchi è di un aumento del 90% durante l’intera settimana di shopping.
Tutto ciò lo sappiamo: si traduce in alterazioni dell’atmosfera che portano all’intensificazione della crisi del clima, con eventi meteo sempre più estremi come quelli osservati negli ultimi mesi. Ma se per arrivare fino a noi è inevitabile che questi prodotti contribuiscano all’inquinamento, è ancor più preoccupante pensare quello che con i pacchi appena ordinati finiamo per non fare: ovvero, non utilizzarli nemmeno (motivo per cui vale la pena di chiedersi se è davvero necessario acquistarli). Un report di Green Alliance stima per esempio che addirittura l’80% degli articoli acquistati durante il Black Friday vengano rispediti o persino gettati dopo “pochi utilizzi”, in alcuni casi anche “senza essere stati usati” o tirati fuori dalla confezione. Con lo shopping online tra l’altro, a differenza dell’acquisto in negozio i resi aumentano fino a quattro volte. Più resi significano più trasporti e di conseguenza un aumento dei veicoli per le consegne che sarà esponenziale soprattutto nei prossimi tre anni dato che a livello globale si prevede che il giro d’affari dell’ecommerce supererà gli 8 trilioni di dollari.
I trasporti ovviamente sono però solo una parte degli impatti ambientali, perché a livello di CO2 per esempio incide molto di più il processo di produzione, che è diverso per ogni materiale o merce. Per dare un’ idea: produrre un comunissimo pc rilascia in atmosfera sino a 200 kg di CO2. Un solo smartphone può emettere oltre 70 kg di CO2, di cui l’80% proprio in fase di produzione. Una maglietta invece rilascia in media più chilogrammi di anidride carbonica rispetto al peso della maglietta stessa e, per realizzarla, si possono arrivare ad usare anche sino a 2.700 litri di acqua.
Proprio l’abbigliamento e gli accessori, insieme all’elettronica, sono i prodotti che molto probabilmente acquisteremo di più durante questo Black Friday. Come fa notare però l’associazione Friends of the Earth con un nuovo rapporto sul fashion, in meno di 40 anni in paesi come la Francia ad esempio il consumo di abbigliamento è più che raddoppiato. A livello mondiale, praticamente, se la produzione di abbigliamento si fermasse oggi l’intera umanità avrebbe “abbastanza vestiti da indossare fino al 2100”. E mentre cresce la produzione di vestiti (ormai siamo tra i 100 e i 150 miliardi di capi l’anno), cresce anche il contributo del settore moda e soprattutto fast fashion per le emissioni globali, ormai oltre al 10%. Solo in Francia, per dare un’idea , un quarto di tutte le consegne postali è per pacchi dei colossi cinesi Temu e Shein.
A questo punto, anche se le cifre spesso non aiutano a identificare la reale portata dell’inquinamento da shopping legato al Black Friday, ci si può sempre chiedere se ci sono alternative più sostenibili da cavalcare. In rete si trovano tante proposte, ma alcuni marchi specifici proprio per il Black Friday hanno deciso di prendere posizione radicali nel tentativo di aiutare l’ambiente e mostrare un’altra strada da poter percorre. Ad esempio Patagonia – che da anni fa campagne anti-Black Friday – anziché grandi sconti incoraggia i clienti alla riparazione degli articoli e donerà l’1% delle vendite a cause ambientali. Oppure Asket, marchio di moda svedese, per il BF ha deciso di chiudere il suo negozio online per il settimo anno consecutivo. Altri, come Monki, evitano gli sconti e fanno campagne per acquisti di seconda mano, o addirittura c’è chi come Citizen Wolf, azienda australiana di abbigliamento, offre un servizio per rinnovare i vecchi vestiti con nuovi colori anziché acquistare nuovi prodotti. Al netto di alcuni esempi, gli esperti di sostenibilità consigliano sempre di seguire quattro passaggi nel caso si voglia vivere un venerdì un po’ più green e meno black: il primo è acquistare meno e riparare ciò che si ha e, per questo, è anche stata lanciata la campagna Buy Nothing Day che invita proprio ad astenersi dagli acquisti per 24 ore. Il secondo è usare le cose, perché molti prodotti vengono appunto acquistati e nemmeno mai utilizzati. Poi si può sempre fare attenzione ai materiali: meglio quelli sostenibili in cui grazie a etichette trasparenti si conosce la composizione. Infine, come sempre, vale la pena acquistare localmente per ridurre sprechi ed emissioni legati alle spedizioni.