Nel 1992 venne firmato il trattato della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, UNFCCC, in cui si chiedeva ai paesi ad alto reddito di fornire i dati relativi alle emissioni derivate dai voli aerei su tratte nazionali ed internazionali; ma da quel trattato furono esclusi 155 paesi a medio-basso reddito, tra cui Cina e India, che quindi potevano effettuare segnalazioni su base volontaria, ma non erano obbligati a farlo. Ora, uno studio condotto dall’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia e pubblicato su Environmental Research Letters, per la prima volta ha analizzato un’enorme mole di dati, i cosiddetti big data di circa 40 milioni di voli nel 2019, riuscendo a calcolare le emissioni di gas serra prodotte dai viaggi aerei di 197 paesi, la gran parte della terra. Il modello norvegese, chiamato AviTeam, dunque è riuscito a fornire informazioni anche sui 45 paesi lasciati fuori dal Trattato dell’Onu, perché all’epoca economicamente meno sviluppati.
Il risultato? Piuttosto allarmante. Secondo la ricerca, infatti, sono state 911 milioni le tonnellate di emissioni globali dell’aviazione, il 50% in più dei 604 milioni riportati dalle Nazioni Unite nell’anno preso in esame. Dunque, il dossier norvegese ha svelato il “lato oscuro” delle emissioni aeree, evidenziando che i dati diffusi dall’UNFCC, in verità, non mostrano il vero impatto dell’inquinamento prodotto dal traffico aereo globale.
“Ora abbiamo un quadro molto più chiaro delle emissioni legate all’aviazione per singolo paese, comprese le emissioni precedentemente non segnalate”, ha evidenziato Helene Muri, professore di ricerca presso il programma di Ecologia Industriale dell’Università norvegese di Scienza e Tecnologia”.
Dalla classifica dello studio è emerso che il primo paese per quantità di emissioni per voli nazionali ed internazionali sono gli Stati Uniti, seguiti da Cina e Regno Unito. Al settimo posto c’è la Francia ed al nono la Spagna, mentre l‘Italia è al 17° posto, ma una delle evidenze più importanti riguarda la Cina, paese che non risultava nel report delle Nazioni Unite e che invece nello studio norvegese è al secondo posto subito dopo l’America in quanto ad emissioni inquinanti dell’aviazione.
Infatti, evidenzia Jan Klenner, primo autore dell‘articolo “il nostro lavoro colma le lacune nella segnalazione e spero che possa informare la politica della situazione e migliorare le future negoziazioni”. Ma c’è di più, perché quando lo studio ha preso in esame il legame tra benessere economico pro-capite ed emissioni, è emerso che la ricca e green Norvegia, dove vivono 5,5 milioni di persone, all’incirca il totale di due città come Roma e Milano, è emerso che le emissioni per persona si posizionano al terzo posto, dopo Stati Uniti ed Australia, proprio perché chi ha maggiori potenzialità economiche, viaggia di più in aereo.
La vera novità del dossier, però, è proprio il ricorso all’analisi dei big data che riescono a fornire informazioni sempre più dettagliate e quasi in tempo reale sulle emissioni che impattano sui cambiamenti climatici. Evidenzia Strømman, coautore dell’articolo: “In precedenza ci siamo affidati a uffici statistici e cicli di reporting che possono impiegare un anno o più per ottenere questo tipo di informazioni, mentre ora possiamo fare una modellazione istantanea delle emissioni, cioè calcolarle mentre accadono”.