Quanto inquina la slitta di Babbo Natale? È più sostenibile di un volo di linea? Certo, il passeggero è uno solo, ma fa letteralmente il giro del mondo in una notte per consegnare a ciascuno il suo regalo. Con il classico approccio anglosassone che mescola scienza e curiosità, il professor Mike Jeffries, docente di Ecologia alla Northumbria University di Newcastle, si è messo a calcolare le emissioni delle otto renne (nove, se si considera anche Rudolf, quella luminosa utilizzata nelle notti di nebbia) che tradizionalmente trainano il veicolo di Santa Claus. E il risultato è tutt’altro che banale.

“Il vero insegnamento di questo gioco accademico”, commenta infatti Riccardo Valentini, professore di Ecologia forestale all’Università della Tuscia e membro dell’Ipcc, “è quanto sia complesso il calcolo della CO2 prodotta in ogni singolo comparto”. Il professor Jeffries parte dalla constatazione che le renne sono ruminanti e come tali emettono metano, un potentissimo gas serra, fino a ottanta volte più riscaldante della CO2.

Ma questo è solo l’aspetto più evidente: “Mentre le renne sono a terra (e non in volo nella notte di Natale, ndr), rosicchiano piccoli arbusti e questo pascolo ha un effetto significativo sul bilancio del carbonio del paesaggio artico”, scrive Jeffries su The Conversation. Un recente studio condotto al confine tra la Norvegia e la Finlandia ha dimostrato come il pascolo delle renne può incidere sul paesaggio, sulla espansione delle betulle a danno della tundra e sulla diffusione di particolare specie di funghi che aiutano il suolo a trattenere la CO2. La ricerca conclude che i terreni dove le renne brucano tutto l’anno intrappolano più anidride carbonica rispetto ai pascoli usati sono in inverno.

 

Non è tutto. Perché un altro studio pubblicato lo scorso settembre e realizzato nel nord-est della Finlandia ha mostrato che gli escrementi di renna depositati nelle paludi dove gli animali in estate possono aumentare notevolmente la produzione di metano delle torbiere, probabilmente perché introducono in quell’habitat batteri che in condizioni normali non ci sarebbero.

La conclusione del professor Jeffries è che il contributo delle renne di Babbo Natale al riscaldamento globale rimane un mistero, ma che non dovremmo comunque biasimare questi animali.

 

“E infatti dovremmo preoccuparci molto di più dei bovini allevati in impianti industriali per la produzione di carne, ricordando che per ogni chilogrammo prodotto se ne liberano 28 di CO2 equivalente nell’atmosfera”, conferma Valentini.

“La dissertazione natalizia sulle renne sottolinea quanto siano complessi i cicli naturali dei gas serra, cicli sui quali è anche difficile intervenire. Si stanno progettando impianti per la cattura del carbonio dall’aria ma al momento i costi sono elevatissimi, nell’ordine dei mille dollari a tonnellata di CO2. Ci sono però cicli ‘artificiali’ dove potremmo intervenire più facilmente“. Per esempio? “Appunto i capannoni dove si allevano mucche, ruminanti proprio come le renne, ma che vivono, purtroppo, in ambienti chiusi e controllati, dove sarebbe facile catturare, perché le tecnologie ci sono già, il metano emesso e magari riutilizzarlo per produrre energia o calore”. Una forma di recupero ed efficientamento energetico che, tutto sommato, si ritrova in un’altra tradizione natalizia: il bue e l’asinello “fonti di calore” dei nostri presepi.