Ogni anno l’uso di contante da parte di un singolo individuo produce tanto inquinamento quanto un viaggio in automobile di 8 chilometri. In termini di CO2 può apparire poca cosa, siamo nell’ordine dei micropunti (μPt, una metrica che combina diversi indicatori di impatto ambientale) ma, benché i dati siano stati esaminati dalla Banca centrale europea usando l’euro come riferimento, il contante è usato ovunque nel mondo e questo fa della valuta circolante una spina nel fianco per l’inquinamento nel senso più ampio del termine che, ogni anno, nella sola Italia si traduce in 80mila morti.

 

La salute del Pianeta dipende anche da come paghiamo, così come conferma il report della Banca centrale europea (Bce) pubblicato alla fine del 2023 facendo riferimento ai dati del 2019. Se le banche si sono date da fare per ottimizzare le emissioni di loro competenza, per esempio aggiornando gli sportelli ATM (i bancomat), c’è ancora bisogno dell’impegno dei consumatori e dei commercianti.

 

L’impronta ambientale del contante

La carta utile all‘emissione delle banconote va prodotta, così come vanno estratte e lavorate le materie prime da cui si ottengono le monete. La massa monetaria va poi spostata e distribuita usando appositi mezzi di trasporto. Non di meno, hanno un costo in termini ambientali anche i prelevamenti fatti ai bancomat e hanno un peso specifico anche i controlli dell’autenticità delle banconote che vengono svolti in alcuni punti vendita o negli istituti finanziari.

Le più grandi fonti di inquinamento legate all’uso del contante sono, così come illustra il grafico sopra, l’energia necessaria ad alimentare i circuiti ATM e il trasporto della valuta. Due voci che, insieme, superano il 70% dell’impronta ambientale totale.

 

I pagamenti digitali in Italia

Il rapporto 2024 della Community Cashless Society curato da The European House – Ambrosetti (TEHA) evidenzia come, in termini ambientali, l’uso del contante inquini il 21% in più rispetto ai pagamenti digitali. Limitatamente all’Italia, l’uso del contante coincide con 2,7 chilogrammi annui di emissioni, in totale 160mila tonnellate di CO2.

Il report TEHA mostra un crescente uso dei pagamenti digitali da parte degli italiani, riassunto nel grafico sotto.

Il collo di bottiglia è costituito dai commercianti che, nonostante l’obbligo introdotto nel 2022, guardano ancora con diffidenza ai pagamenti digitali. Non di meno, circa la metà dei commercianti che si sono adeguati alla normativa, che li obbliga ad accettare bancomat e carte di credito, lo ha fatto per adeguarsi alle richieste dei clienti.

 

Manca ancora la cultura necessaria, quella svolta che faccia comprendere quanto, oltre a essere meno inquinanti e più sicuri, i pagamenti digitali hanno per i commercianti un costo inferiore a quello dei pagamenti cash.

La gestione del contante può raggiungere il 2% dei ricavi mensili di un’attività commerciale, così come anticipato dalla Banca d’Italia nel 2022, in occasione dell’Audizione preliminare all’esame della manovra economica per il triennio 2023-2025, percentuale che tiene conto anche del rischio di incassare banconote false. Paradossalmente, però, sempre secondo il report TEHA, la convenienza dei pagamenti digitali è recepita dal 7,8% dei commercianti.


Le transazioni digitali vengono rifiutate dagli esercenti facendo leva sul malfunzionamento del Pos (52,20%), sulla reticenza (15,90%) o sulla risibilità dell’importo (10%).


Infine, gli esercizi commerciali che oppongono resistenza nell’accettare pagamenti digitali, rischiano una perdita media del 26% della clientela. Percentuale che, sostiene il medesimo report, può salire al 60% nel caso di strutture ricettive, nei negozi di abbigliamento e nei bar.