Clima, ultima spiaggia. Si potrebbe aprire l’ombrellone, un ombrellone molto grande, certo, sufficiente a raffreddare un bel pezzo del Pianeta. Le metafore estive finiscono qui. La geoingegneria, in particolare la “solar radiation modification” (Srm), che consiste nel fare “ombra”, schermare i raggi solari, rifletterli nello spazio con, per esempio, nuvole artificiali, è sul tavolo come opzione del Congresso degli Stati Uniti e anche del Parlamento e del Consiglio europeo con una “joint communication” della Commissione e dell’Alto rappresentante per gli affari esteri. Nella stessa settimana, tra l’altro. Dopo che un panel indipendente di esperti convocato dall’Environmental program delle Nazioni Unite, a febbraio, ha pubblicato un’analisi sui possibili effetti della “solar radiation modification” (alterazione della radiazione solare). Insomma, la si sta prendendo sul serio perché, secondo le analisi proposte, sarebbe efficace da subito nel raffreddare il Pianeta e costerebbe incredibilmente poco.
Lo stesso sta facendo la Overshoot commission del Paris peace forum, dedicata alle strategie per ridurre i rischi del riscaldamento globale. Tuttavia molti studiosi sono scettici se non contrari, perché sarebbe un salto nel buio, con temute conseguenze sul clima ed “effetti collaterali” ancora imprevedibili. Uno scenario forse anche peggiore di quello che il global warming ci ha già messo davanti agli occhi. E che, in aggiunta, potrebbe compromettere la strategia della riduzione delle emissioni, che già zoppica.
Così si blocca il Sole
Si tratta di bloccare le radiazioni solari, la quantità di energia, calore, che ci arriva dalla nostra stella. La Terra si raffrescherebbe con effetto quasi immediato. Come si fa? Imitando la Natura, quindi creando nuvole ‘vulcaniche’ artificiali. Ci sono alcuni esempi celebri che vengono fatti di solito. Le eruzioni del Pinatubo (1991) e Tambora nel 1815 che proiettarono milioni di tonnellate di zolfo nell’alta atmosfera. In entrambi i casi, nei periodi immediatamente successivi, la temperatura globale scese in maniera repentina. Una soluzione di Srm sarebbe dunque quella di immettere aerosol nella stratosfera (Stratospheric aerosol injection, Sia), particolato che riflette parte della radiazione solare, usando aeroplani ad alta quota.
È di gran lunga il metodo più studiato e per il quale si conoscono gli effetti immediati, proprio perché già osservati con i vulcani, con le sabbie del Sahara e anche con le emissioni lungo le rotte marine delle imbarcazioni. Ma si sa anche altro. Basti citare il rapporto americano (qui il .pdf) che parla dell’eruzione del vulcano Tambora per capire il livello di scetticismo con cui, giustamente, vengono viste queste soluzioni: “L’eruzione del Tambora ha raffreddato la Terra di 0,7°C e ha portato a un ‘anno senza estate’ (1816), modelli di precipitazioni alterati, monsoni interrotti, e ha portato a inondazioni che hanno provocato il fallimento dei raccolti, la carestia, e la diffusione di malattie. Comprendere questi e altri potenziali impatti negativi dell’Srm è importante quanto comprendere i potenziali benefici”.
Tra le ipotesi vengono prese in considerazione anche lo sbiancamento delle nuvole marine a bassa quota (Marine cloud brightening, Mcb). Da tempo si è notato che, nelle immagini satellitari, gli oceani sono striati da luminose strisce bianche di nuvole che corrispondono alle rotte di navigazione. Sono il risultato della sospensione di minuscole particelle prodotte dalle navi. Riflettono più luce solare nello spazio rispetto alle nuvole normali, e molto più dell’oceano blu scuro. Un aspetto notato di recente riguarda proprio questo punto: nel 2020 la legislazione ha proibito carburanti per le navi con percentuale di ossido di zolfo superiore allo 0,5% (prima era il 3,5%). Il risultato è una migliore qualità dell’aria: “Si prevede una riduzione di ictus, asma, cancro ai polmoni e malattie cardiovascolari e polmonari – si legge sul sito dell’Organizzazione marittima internazionale https://www.imo.org/en/MediaCentre/PressBriefings/pages/34-IMO-2020-sulphur-limit-.aspx – la riduzione delle emissioni di zolfo delle navi aiuterà anche a prevenire le piogge acide e l’acidificazione degli oceani, a vantaggio di colture, foreste e specie acquatiche”.
Inquinamento o geoingegneria
Tuttavia quest’anno la temperatura degli oceani, in particolare l’Atlantico e il Pacifico settentrionali, è insolitamente alta proprio nelle aree più trafficate dalle navi. Alcuni climatologi hanno correlato questa anomalia con il precipitare delle concentrazioni di zolfo in atmosfera il cui cooling effect era ben noto, per quanto non ve ne sia assoluta certezza e debbano essere tenuti in conto altri fattori, tra cui El Niño e l’assenza, anch’essa anomala, delle sabbie sahariane trasportate dalle correnti attraverso l’Atlantico. Anche le finissime particelle di polvere del deserto sono particolato atmosferico che scherma e riflette la luce solare.
The result is clearly suggestive.
After sulfur was reduced in marine fuels, temperatures in the northern shipping lanes warmed a bit more than 0.2 °C compared to the expected climate analogs.
— Dr. Robert Rohde (@RARohde) July 5, 2023
Si potrebbe invece intervenire sullo spessore dei cirri, nuvole dell’alta atmosfera che riflettono verso la Terra le radiazioni infrarosse responsabili del riscaldamento e dell’effetto serra. Soluzione poco studiata e non molto praticabile. Così come l’idea, molto futuristica, di piazzare uno o più specchi riflettenti giganti nello spazio per bloccare direttamente la radiazione solare prima che entri in atmosfera. Eclissi artificiali i cui costi e, soprattutto, fattibilità, non sembrano essere alla portata delle tecnologie attuali.
Faccia a faccia col caos
L’analisi del panel di esperti scelti dall’Onu dice due cose molto importanti. Questi metodi, soprattutto i primi due (Sai e Mcb), sarebbero efficaci da subito nel ridurre la temperatura. La stima degli studi citati dal report dice che “tassi di iniezione continua di 8-16 Tg (migliaia di tonnellate ndr) di anidride solforosa (SO2) all’anno (approssimativamente equivalenti alla quantità stimata emessa dal Monte Pinatubo nel solo 1991) ridurrebbero la temperatura media globale di 1°C”. A un prezzo tutto sommato abbordabile: 20 miliardi di dollari all’anno. Ma attenzione: si parla solo di riduzione di temperatura. I problemi legati alla concentrazione di anidride carbonica come l’acidificazione degli oceani non verrebbero per nulla risolti. Per non parlare di un effetto “psicologico” molto temuto: considerare questo un sostituto della riduzione delle emissioni di gas serra. Un errore da non commettere.
Il secondo punto riguarda le conseguenze su scale diverse di questo intervento di geoingegneria. Gli effetti globali, regionali e locali. È il vero salto nel buio. La Terra, l’atmosfera, i mari e gli oceani, formano un sistema caotico. Al momento gli scienziati non sono in grado di prevedere quali effetti avrà a breve, medio e lungo termine un raffreddamento repentino innescato da uno di questi sistemi. Si parte da quella che viene definita una sovracompensazione climatica in alcune zone, come i tropici, che si raffredderebbero rapidamente a differenza dei poli. Il cambio potrebbe modificare le correnti atmosferiche e quelle oceaniche, disturbando la stagionalità di fenomeni come i monsoni, gli uragani, l’oscillazione nord atlantica e quella pacifica, responsabile di El Niño, il vortice polare. Con conseguenze potenzialmente disastrose.
“I risultati del modello indicano che un’implementazione Sai che utilizza solfati altamente riflettenti (che assorbono anche una notevole quantità di radiazione a onde corte) potrebbe causare una fase più intensa dell’Oscillazione nord atlantica, con maggiori precipitazioni e inondazioni devastanti in alcune parti del Nord Europa e gravi siccità su parti del Mediterraneo”. Scene a cui ci stiamo già abituando, e che vorremmo evitare cadendo dalla padella alla brace.
L’impiego di composti dello zolfo potrebbe significare piogge acide e un danneggiamento o un ritardo nella riparazione dello strato di ozono. In alcune aree equatoriali e tropicali ci si attendono modificazioni nella diffusione di malattie. “Studi di modellazione indicano che se il Sai fosse distribuito su una scala sufficiente a prevenire l’innalzamento del livello del mare o preservare le grandi calotte glaciali in Antartide e Groenlandia, gli effetti negativi sopra descritti sarebbero pronunciati”. L’imprevedibilità di ciò che potrebbe innescarsi, mettendo mano ai meccanismi che governano il clima, avrebbe un’altra caratteristica che preoccupa gli analisti: i suoi effetti potrebbero scatenarsi ovunque. E come con il global warming, i Paesi più poveri potrebbero essere quelli a soffrirne di più. Per questo è sottolineato da più parti, nei documenti Onu, americano ed europeo, come lo studio su queste soluzioni, la loro eventuale applicazione e la governance vadano gestiti con un coordinamento internazionale.
Per dare un’idea della difficoltà che si presenta, basti pensare che la stessa analisi Usa sottolinea come siano coinvolti processi di scala micrometrica (un millesimo di millimetro, processi chimici e delle particelle di aerosol, il particolato), fino a quella globale, con l’influenza sulle correnti atmosferiche e il clima della Terra. Qui torna utile la famosa metafora della farfalla che sbatte le ali e scatena un temporale dall’altra parte del mondo. La stessa Casa Bianca, nel report, sottolinea che la sua stesura è stata richiesta dal Congresso e non implica alcuna decisione riguardo al solar radiation management. C’è scetticismo, insomma.
Il fatto è che la geoingegneria avrebbe lo scopo di cambiare il clima, cosa che abbiamo già fatto, nel senso opposto di ciò che abbiamo causato finora. Gli effetti del primo intervento umano (non intenzionale) li stiamo vedendo e non sono piacevoli. Piuttosto, molto spesso sono catastrofici e difficili da prevedere. Girare l’interruttore in senso opposto parte servirà oppure abbiamo già aperto un vaso di pandora? La Casa Bianca richiama a un’analisi “risk vs risk”, significa che a un certo punto bisognerà decidere se vale la pena di fare un salto nel buio, sperando che gli effetti collaterali non siano più disastrosi dello scenario “zero”, cioè senza questo intervento di geoingegneria. Ma non resterebbe a quel punto che affidarsi solamente alla riduzione delle emissioni e alla salvaguardia delle foreste. Sforzi che, a quanto pare, non stanno avendo grande successo.