Il polistirene, meglio noto come polistirolo, è un materiale plastico largamente utilizzato negli imballaggi, che presenta non pochi problemi dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Come tutti i tipi di plastica, se disperso nell’ambiente impiega moltissimo tempo a degradarsi completamente, producendo piccolissimi frammenti (le famose microplastiche) che possono avere impatti negativi sulle specie selvatiche e anche sulla salute umana. In più, si tratta di un polimero difficile da riciclare, visto che in certe condizioni tende a degradarsi, perdendo le sue proprietà. Ma uno studio pubblicato su Chemical Engineering Journal sembra riaccendere le speranze su quest’ultimo fronte. Gli autori della ricerca propongono infatti un processo di riciclo del polistirene che prevede una resa finale del 60%, a fronte del 5% circa che viene attualmente riciclato.
Il processo proposto sarebbe energeticamente favorevole, nel senso che, in base ai calcoli effettuati dagli autori della ricerca, l’energia necessaria per portarlo a termine risulta essere inferiore rispetto al cosiddetto “potere calorifico superiore” contenuto nei legami chimici del polistirene – ossia all’energia ricavabile dalla sua completa combustione. Entrando più nel dettaglio, il processo prevede due fasi. La prima è la pirolisi, durante la quale il polistirene deve essere scaldato a temperature altissime (circa 450 gradi centigradi) in assenza di ossigeno, al fine di determinare la sua “frammentazione” nei monomeri di cui è costituito. La seconda fase serve invece a separare i monomeri di stirene ottenuti attraverso la pirolisi dai sottoprodotti di reazione. Affinché lo stirene monomerico possa essere utilizzato come materiale di partenza per la sintesi di polistirene (cioè del corrispondente polimero) la sua purezza deve infatti essere superiore al 99%.
Come anticipato, il processo proposto dal gruppo di ricercatori è risultato essere piuttosto efficiente dal punto di vista energetico: per ottenere un chilogrammo di monomeri di stirene servono circa 10 megajoule di energia, che corrispondono a meno di un quarto del potere calorifico superiore del polistirene (cioè all’energia ricavabile dalla sua completa combustione). Per quanto riguarda la resa complessiva, i risultati indicano il 60%, il che significa che a partire da un chilogrammo di polistirene è possibile ottenere 600 grammi di monomeri di stirene a un grado di purezza sufficiente affinché possano essere utilizzati come materiale di partenza per la sintesi di “nuovo” polistirene.
Un possibile caveat sta nel fatto che i calcoli si basano sull’assunzione che il polistirene di partenza sia sufficientemente puro, cioè che non sia contaminato da altri tipi di plastica o materiali di altro genere. Secondo gli autori, comunque, si tratta di un requisito non troppo difficile da ottenere, e l’eventuale separazione del polistirene da altri materiali plastici richiederebbe una quantità di energia trascurabile rispetto all’intero processo di riciclo preso in considerazione. Infine, bisogna tenere presente che i risultati dello studio si basano su calcoli e modelli, che, per quanto sofisticati possano essere ,sono intrinsecamente collegati a un certo grado di incertezza. Anche in questo caso, comunque, gli autori dello studio sostengono che tutte le fasi del processo analizzato prevedono l’impiego di tecniche e strumenti noti e già ampiamente utilizzati, oltre ad essere teoricamente scalabili a livello industriale.