Secondo il think tank sul climate change Rapid Transition Alliance (Rat) e l’università di Waterloo, ben 23 stadi su 92 dei maggiori campionati inglesi rischiano di subire alluvioni o addirittura finire sott’acqua entro il 2050. No, non si tratta di squadre di provincia. Incluse nella lista a rischio ci sono strutture di grandi squadre, come lo Stamford Bridge del Chelsea a Londra, il poco lontano Craven Cottage dei cugini del Fulham, il London Stadium di un’altra squadra della capitale, il West Ham. Ma anche il St Mary’s stadium del Southampton, o a Grimbsy, Scunthorpe, sono minacciati dal riscaldamento globale. Insomma, il cambiamento climatico è una minaccia concreta per tutto il calcio inglese, e non solo.
Qualche mese fa, poi, ha fatto molto rumore un’inchiesta della Bbc sugli eccessivi viaggi in aereo di molte squadre negli ultimi anni, anche per spostamenti di 40 km. Una esigenza che talvolta è aumentata negli ultimi anni anche per le lunghe tournée intercontinentali del pre-stagione estivo. La peggiore in questo senso, secondo l’inchiesta della tv pubblica britannica, è stata l’Aston Villa, con 22.419 miglia aeree percorse nelle settimane di preparazione atletica, 2921 chili di emissioni a passeggero (in media 30 tra giocatori e staff) e 87,6 tonnellate di emissioni rilasciate. Subito dietro il Leeds e il Manchester United. Ultimo il Leicester, con “soltanto” 564 miglia, 134 chili di emissioni a passeggero (in media 30 tra giocatori e staff) e 4 tonnellate di emissioni.
Un trend da migliorare, ovviamente. Ma questo dimostra l’attenzione sul clima da queste parti, più che altrove. Perché l’Inghilterra, non solo nel calcio, è all’avanguardia nella lotta al global warming (l’ex premier Boris Johnson ha spesso evocato di voler trasformare il suo Paese nell'”Arabia Saudita del vento”) e ci sono tante buone notizie. La Premier League e gli altri campionati minori britannici da tempo hanno infatti avviato un percorso per limitare al massimo le emissioni, con alcuni promettenti risultati che saranno da esempio per molti. Qualche settimana fa, il capo dello sport britannico, Sally Munday, ha delineato gli obiettivi: emissioni zero per tutte le organizzazioni sportive entro il 2030 (o qualche anno in più se necessario) e addirittura impatto positivo per l’ambiente entro il 2040.
Tagliare sugli spostamenti aerei non sarà facile: il calendario delle partite per le squadre maggiori è sempre più fitto e globale, e i giocatori devono riposare il prima possibile per essere fisicamente pronti per la prossima partita. Ma sul resto, si può fare molto, moltissimo, come dimostrano le squadre inglesi. L’esempio massimo è il Forest Green, squadra di terza divisione del Gloucestershire, che è diventata interamente vegana nel 2015 e il primo club sportivo del mondo a emissioni zero già nel 2017. Il suo presidente Dale Vince è un ambientalista convinto e sta vincendo la sua sfida: “La prima cosa da fare è tagliare la carne perché responsabile di buona parte delle emissioni nel mondo”, dichiara a Sky. Ma il club ha fatto molto di più: pannelli solari, colonnine per le auto elettriche, bus elettrici per i tifosi. Ora però arriverà il gioiello vero: un nuovo, avveniristico stadio tutto in legno, sostenibile al 100%. Non è ancora chiaro quando sarà pronto (servirà qualche anno), ma di certo il progetto è già approvato e ci saranno “cinquemila posti a sedere e migliaia di posti di lavoro in più nell’area”, è l’orgoglio di Vince, “rinunciare al cemento è una straordinaria vittoria”.
Anche le grandi squadre stanno facendo il possibile, non rinunciando a iniziative particolari o personali, al di là degli impegni a livello istituzionale. Grazie a uno stadio e una tifoseria decisamente “local” (il quartiere di Anfield), il Liverpool è la squadra più virtuosa nel voler mitigare il cambiamento climatico, insieme al Tottenham. Seguono a poca distanza Manchester City e Southampton. I parametri della ricerca governativa sono energia pulita, trasporto sostenibile. efficienza energetica, cibo senza carne, eccetera. Il Tottenham è in cima da tre anni in questa particolare classifica, grazie al suo nuovo avveniristico stadio a nord di Londra alimentato da energia verde, ma anche per un grande sistema di riciclo della plastica e poco spreco di acqua. Anche per questo gli Spurs, nel settembre 2021, hanno fatto la storia con il primo match nella storia del calcio a emissioni zero, che è stato possibile anche mediante la rinuncia a ogni mezzo di locomozione inquinante. Un progetto pilota straordinario.
In Scozia, l’Hibernian è il club più virtuoso. Il Chelsea invece, come detto minacciato da alluvioni vista la vicinanza al Tamigi dello Stamford Bridge, è stato uno dei primi ad utilizzare fari Led allo stadio, incoraggia i suoi dipendenti ad arrivare sempre a piedi, in bici o con i mezzi pubblici, il campo di allenamento sfrutta l’acqua di un lago vicino, che cosi viene sempre riciclata. Ma ci sono anche iniziative personali, come l’ex portiere proprio dei Blues, l’italiano Carlo Cudicini, che con la moglie ha lanciato un programma per riciclare le magliette dei calciatori e rivenderle in piccole aste. E l’ex difensore dell’Arsenal, lo spagnolo Hector Bellerin, già tre anni aveva promesso di piantare 3mila alberi per ogni vittoria della sua squadra. Alla fine, anche grazie alle donazioni dei tifosi, questo visionario calciatore ne ha piantati 58.617.
Addirittura il Brentford, la sesta squadra di Londra in Premier League, in questa stagione ha deciso di utilizzare la maglia dell’anno scorso, non aggiornandola, rinunciando così a sostanziose entrate. Ma la decisione è stata presa per evitare sprechi e inquinamento legato all’abbigliamento, il quale molto spesso è deciso dagli sponsor tecnici delle squadre che per questioni di marketing ogni anno disegnano magliette diverse. Allo stesso tempo, si moltiplicano in Inghilterra le iniziative locali per riciclare scarpini usati dalle giovanili delle squadre per donarli ai teenager più poveri che spesso non possono permettersele. Perché il calcio è di tutti, e anche la sua sostenibilità.