È passato quasi un anno da quando un incendio enorme per quattro giorni distrusse oltre 20mila ettari di foreste, campi, pascoli oltre ad attività industriali nel Montiferru e nella Planargia, nella Sardegna centro occidentale. Il simbolo di quella devastazione divenne l’olivastro millenario di Tanca Manna, vicino a uno dei paesi più colpiti, Cuglieri. Dopo il rogo, del grande albero che da secoli testimoniava la tradizione dell’olivicoltura nella zona ed era diventato un monumento naturale, rimanevano ceneri e qualche ramo scheletrico.

Oggi, l’università di Cagliari, che grazie al professor Bacchetta aveva subito avviato i tentativi di recupero dell’albero, ha annunciato che gli sforzi dei botanici e le attenzioni della popolazione sono riuscite a mantenere in vita quel che rimaneva dell’olivastro, dal quale sono ora spuntati, ben visibili, dei germogli.

L’estate scorsa Gianluigi Bacchetta, docente di Botanica e direttore dell’Orto Botanico dell’Università di Cagliari, era accorso a Cuglieri non appena possibile per constatare i terribili danni alla vegetazione. “Pochi credevano nella possibilità di una ripresa – dice oggi il professore, che in questi 10 mesi ha continuato a fare la spola tra Cagliari e Cuglieri – In tanti dicevano che si stava addirittura sprecando tempo nel cercare di rianimare questa pianta. Invece, hanno avuto la meglio le azioni che si sono portate avanti: la pacciamatura, l’irrigazione di emergenza, la somministrazione degli amminoacidi levogiri per il ripristino della funzionalità radicale, la protezione del tronco con i teli di juta e poi la copertura a simulare la chioma che era andata perduta”.

Per salvare l’albero non si era mobilitata soltanto la comunità scientifica: per evitare che i curiosi vanificassero le azioni di recupero calpestando il terreno intorno all’olivastro, la gente di Cuglieri si era data il cambio per vigilare che nessuno si avvicinasse all’albero, così come erano stati stabiliti turni per mantenere umido il terreno.

Tutti gli interventi realizzati nel corso dell’autunno e dell’inverno hanno cominciato a dare in primavera i frutti sperati: la pianta si conferma essere viva e vitale, i germogli hanno superato i 40 centimetri, e testimoniano come quest’albero, che ha millenni di esperienza, ha capito quale fosse il momento adeguato per rivegetare: “Non è stato possibile in autunno, perché si è trattato di una stagione molto siccitosa – spiega Bacchetta – Di certo non avrebbe sprecato energie d’inverno, con i rigori tipici e le giornate corte. Ha atteso la primavera, quando le condizioni si sono mostrate ideali”.

Il botanico cagliaritano aveva lasciato trapelare un po’ di ottimismo già nei mesi scorsi, poiché a Pasqua aveva osservato come in una porzione della ceppaia ci fosse attività vegetativa e si stesse realizzando sotto corteccia attività di fotosintesi clorofilliana. “I segnali c’erano tutti,  – dice oggi il professore – e per questo abbiamo mantenuto costantemente umida la porzione della ceppaia che si mostrava essere l’unica in grado di riprodurre germogli”. A dispetto di quanti non credevano più nell’olivastro millenario e già da tempo dicevano che sarebbe stato bene eliminare completamente il tutto, la pianta ha confermato di avere ancora la capacità di vivere.

Certo, ci vorranno secoli perché torni ad essere l’albero maestoso di un tempo, poiché la chioma è andata distrutta così come buona parte del tronco, ma i germogli diventeranno rami e con il tempo ci saranno nuove fronde.

Di pari passo con il lavoro di rianimazione della pianta c’è stato però l’importante attività per conservare almeno il “DNA” del monumento naturale, nel caso gli sforzi risultassero vani: “Come Banca del Germoplasma della Sardegna continuiamo a coltivare i semi dell’olivo millenario – aggiunge il direttore dell’Orto Botanico dell’Università di Cagliari – perché potranno essere utili, e come Orto Botanico – in base alla convenzione con il Comune di Cuglieri e in accordo con l’associazione Montiferru – proseguiamo nelle attività di monitoraggio e di salvaguardia del Patriarca nella speranza che possa diventare esempio di resilienza anche per una comunità che, a distanza di un anno, soffre ancora gli effetti nefasti del rogo che c’è stato e attende ancora gli aiuti del Governo regionale che ancora non sono stati erogati”.