Le prime esperienze sono state fatte in Germania, nei Paesi Bassi e in altri Paesi nordici. In Bassa Sassonia, il Bioenergy Village di Jühnde è attivo dal 2004: grazie ad un progetto realizzato in collaborazione tra alcune cooperative locali e l’Università di Göttingen, la comunità si è dotata di un sistema di cogenerazione a biogas da 700 kW e una caldaia a cippato da 550 kW, con i quali gli abitanti della cittadina sono in grado di generare il 70 per cento del calore necessario al proprio fabbisogno e il doppio dell’energia elettrica il cui surplus viene ceduto alla rete.
Questo è uno dei primi esempi di comunità energetica, una realtà che si sta consolidando in Europa e che è pronta a crescere anche in Italia, dove i primi Comuni si stanno già informando come creare le loro “aree di autoconsumo collettivo”.
Ne abbiamo parlato con Paolo Pizzolante, fondatore e presidente di PlanGreen, azienda leader nei servizi di risparmio energetico: fondata nel 2013 ha realizzato oltre 130 progetti di efficientamento energetico in Italia e all’estero. Annualmente produce un risparmio energetico di riduzione di emissioni di Co2 pari a quelle di una foresta di 250mila alberi.
Ci aiuta a capire come funzionano le comunità energetiche?
Per capire in modo immediato il funzionamento basta immaginare due case: una con un grande tetto ma un basso consumo, e al contrario l’altra con un piccolo tetto ma un alto consumo di energia elettrica. Fino a ieri, ognuno faceva per sé, per il suo consumo, perché fare un impianto fotovoltaico più grande non sarebbe servito a nulla, sarebbe stato solo più costoso e l’energia veniva persa in rete, pagata molto meno del risparmio che avrebbe potuto produrre direttamente. Non c’era alcun incentivo a produrre più energia. Chi d’altro lato non aveva spazio per mettere l’impianto fotovoltaico necessario non poteva farci nulla. La comunità energetica invece cambia tutto: dice che quello che è ceduto in rete diventa autoconsumo collettivo.
Siamo ad una svolta?
Prima la comunità energetica poteva essere estesa solo a quelli che rientravano nella cabina secondaria, praticamente all’interno di un condominio, ora invece lo Stato ha ampliato la possibilità alla cabina primaria che corrisponde in linea di massima all’estensione di un Cap, più o meno a 20mila famiglie. Questo ha cambiato tutto. Nel bacino di queste 30-40mila persone si possono trovare gli edifici con i tetti più grandi e farci il fotovoltaico per condividere il beneficio energetico con tutti quelli che fanno parte del bacino. Chi mette a disposizione il suo tetto guadagna per se stesso e produce un beneficio anche per gli altri.
È questo che proponete ai Comuni?
Di più. Visto che non si può andare avanti con impianti piccoli, da sei/dieci kilowatt, in ogni singolo quartiere cerchiamo l’edificio più grande, di solito comunale, statale, un “casermone” che può diventare una centrale elettrica a favore di tutti i cittadini che vi abitano intorno. Plangreen fa da partner del Comune: chiediamo il tetto, diamo parte dell’autoconsumo diretto e la restante parte viene utilizzata per costruire una comunità energetica. Senza far pagare nulla a nessuno. Perché è il privato, in questo caso PlanGreen, che ci mette il suo rischio, i suoi soldi, chiede un canone ma il suo canone se lo va a generare direttamente dalla ricchezza che produce.
Come stanno rispondendo le amministrazioni locali?
Abbiamo molte richieste. I sindaci ci contattano perché non hanno il know out tecnico, amministrativo o fiscale. E soprattuto non vogliono rischiare: metti che un giorno non si rispetti il business plan e si generi un danno erariale. Meglio avere un privato che dia delle garanzie ma che si prenda anche i rischi. Noi diciamo al Comune: ti prendi una parte dell’autoconsumo e il resto lo mettiamo al servizio della comunità energetica. È quello che stiamo proponendo, siamo in attesa dei decreti attuativi del Governo che devono arrivare, ma siamo già pronti. Il 27 faremo un convegno sulla Comunità energetica a trazione pubblica – perché per noi è questo il futuro da immaginare – con ospiti illustri come Davide Tabarelli presidente di Nomisma Energia, Stefano Bellavista, amministratore Unica reti e Anna Montini, Assessore del Comune di Rimini, e il partner legale Tonucci&Partner.
Questo modello potrebbe estendersi anche alle aziende?
Certo. Anche in questo caso basta immaginarsi un capannone industriale in cui si fa solo stoccaggio e poca lavorazione con un tetto molto ampio e un altro che invece che ha un carico energivoro molto alto ma un tetto limitato per un impianto fotovoltaico adeguato. Prima dell’introduzione delle comunità energetiche questi due soggetti non potevano assolutamente pensare ad una soluzione comune, ora invece potrebbero mettere l’energia in rete. In un contesto aziendale potrebbe diventare una rivoluzione. Ci sono già piccoli paesini o quartieri che riescono a generare parte dell’energia che serve loro in autonomia, senza che lo Stato gliela debba portare.
Per i tempi che stiamo vivendo potrebbe essere una svolta.
In una situazione come questa in cui l’interdipendenza energetica ha degli aspetti anche molto seri dal punto di vista della geopolitica, della guerra, dei rapporti con gli stati dittatoriali che invece hanno l’energia, potremmo porci diversamente. Almeno per una piccola parte di fonte energetica potremmo considerarci indipendenti e anche noi produttori di questo bene, con un effetto calmierante sui prezzi.
Qualcuno lo sta già facendo?
Come spesso accade quando si parla di casi virtuosi, possiamo fare riferimento ai paesi del nord Europa. Chiaro che dipende da come il legislatore vuole applicare questo concetto qui da noi. Lo Stato si è mosso molto bene a livello di decreti ma stiamo ancora aspettando i decreti attuativi per capire il contesto d’azione.
Dalla vostra che tipo di esperienza mettete in campo?
Siamo nati nel 2013, e abbiamo investito più di 20 milioni di euro su duecento clienti diversi per fare efficenza energetica. Siamo una Esco e facciamo questo di lavoro. Andiamo dalle aziende e diciamo “investiamo noi sull’impianto a risparmio energetico, facciamo un contratto di dieci anni, prediamo una parte del risparmio che andiamo a generare e il resto lo lasciamo all’azienda”. Sostanzialmente l’azienda cliente ci guadagna fin dall’inizio: senza spendere nulla, manutenzione e garanzia della performance sono a carico di PlanGreen. In più alla fine dei dieci anni l’impianto resta all’azienda e noi usciamo di scena. Facciamo queste operazioni già da una decina di anni con clienti industriali e alcuni soggetti del pubblico, con successo e con la partecipazione del Fondo Italiano per l’Efficenza Energetica.
Come sono nati tutti questi progetti?
Vedevo che tutti i soggetti che credevano nella svolta ecologica che faticavano a mettere insieme tutti gli attori necessari. Noi lo facciamo. Mettiamo a sedere tutti, offriamo un contratto che “non si può rifiutare”: il nostro obiettivo è di fare una rata minore del risparmio che viene generato. Questo rende fattibili i progetti e tutti contenti. È stata una nostra ambizione fin dall’inizio e piano piano siamo riusciti a far crescere l’azienda.
Qual è il vostro punto di forza?
Abbiamo tutto pronto per iniziare: stiamo raccogliendo tutte le disponibilità e gli studi di fattibilità delle comunità energetiche. Non è una cosa banale: si tratta di vedere ogni quarto d’ora dell’anno quanto mi produrrà il fotovoltaico di un determinato edificio e capire a fronte di quella produzione di quante famiglie o negozi ho bisogno perché il consumo possa generare l’incentivo, con un attenzione alle categorie economicamente svantaggiate. Questi studi li stiamo facendo per parecchi Comuni e siamo pronti a partire quando uscirà il decreto attuativo. Abbiamo elaborato un sistema di calcolo interno che elabora i dati in una sola giornata. E poi la nostra competenza non è un qualcosa su cui viviamo di rendita, ma è un qualcosa che mettiamo tutti i giorni in gioco sulla base di come cambia il mondo e di come sono le nuove frontiere.
Per saperne di più: https://www.plangreen.it
Per seguire il convegno del 27 giugno: https://www.plangreen.it/comunita-energetiche-2/