“I leader politici stanno affrontando questa crisi energetica nel modo sbagliato. E nelle banche centrali gli economisti non hanno ancora capito a quali conclusioni è arrivata la scienza del clima”. Johan Rockstrom, invece, di riscaldamento globale se ne intende eccome: svedese, 56 anni, dirige in Germania il Potsdam Institute for Climate Impact Research ed è considerato una delle massime autorità in materia. È anche tra gli autori di un rapporto appena redatto per il Club di Rome e pubblicato in inglese e tedesco: Earth for All, a Survival Guide for Humanity. La versione italiana arriverà in libreria nelle prossime settimane per Edizioni Ambiente.
Professor Rockstrom, perché la politica sul clima sta sbagliando tutto?
“Premesso che la guerra in Ucraina è una atrocità, l’invasione illegale di un Paese, i leader politici, e non solo quelli europei, non capiscono come questa sia la crisi perfetta per accelerare verso una economia alimentata dalle energie rinnovabili. La Germania, quarta manifattura al mondo, dipende dal gas di un autocrate: quale prova migliore di questa ci vuole? Come si fa a non capire quanto sia sbagliato, di fronte ai prezzi dell’energia e all’inflazione, essere così dipendenti da gas, petrolio e carbone? Eppure istituti come il nostro a Potsdam o come l’Ipcc dell’Onu lo dicono da almeno tre decenni: se gli scienziati fossero stati ascoltati, oggi avremmo un mix energetico che ci renderebbe molto più resilienti”.
E gli economisti delle istituzioni internazionali?
“Non capiscono la scienza del clima. E per questo credono che l’attuale inflazione sia guidata dalla domanda, dalla crescita di domanda di beni e servizi dopo la pandemia. Ma è un errore: questa è una crisi economica guidata dalla distribuzione, da un collo di bottiglia nella distribuzione dell’energia. È provocata dal fatto che siamo dipendenti da fonti fossili e non sostenibili: gas, petrolio e carbone. La soluzione non è alzare i tassi di interesse, scelta che anzi rende ancora più difficile investire e innovare. Mentre ciò che serve ora sono proprio gli investimenti, governi che in tutto il mondo investano in nuove infrastrutture. Ci vogliono politiche climatiche, un prezzo alle emissioni di carbonio e grandi investimenti, per esempio sull’eolico offshore”.
Veniamo appunto alle soluzioni che proponete in Earth for All. Affrontate temi legati alla sostenibilità, come povertà e parità di genere, ma dal punto di vista dell’emergenza climatica quali sono le azioni più urgenti da mettere in campo?
“La cosa più urgente è decarbonizzare l’economia mondiale. Abbandonare il carbone, il petrolio, il gas naturale. Uno studio realizzato dal nostro istituto dimostra che se dimezzassimo le emissioni di CO2 ogni dieci anni, quindi il 50% in meno entro il 2030, un 50% entro il 2040, un 50% al 2050, seguiremmo esattamente la traiettoria scientifica per arrivare entro la metà di questo secolo a una economia a emissioni zero. Ma c’è molto da fare in questa direzione: ancora oggi si contano 5 miliardi di dollari di sussidi diretti ai combustibili fossili e addirittura 4mila miliari di sussidi indiretti. Vanno rimossi. La seconda azione, ma altrettanto importante, è mantenere la Natura intatta d’ora in poi, per non disperdere il carbonio che è immagazzinato nei serbatoi naturali. Per esempio il metano intrappolato nel permafrost o nelle zone umide, la CO2 conservata nelle foreste, nei suoli, negli oceani. Molti studi scientifici mostrano che se anche abbandonassimo i combustibili fossili, supereremmo comunque la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento auspicata dagli accordi di Parigi perché stiamo distruggendo i serbatoi naturali di gas a effetto serra, provocandone il rilascio in atmosfera”.
Ma, visto il contesto politico ed economico, queste soluzioni sono praticabili?
“Rispondo da scienziato. E l’unica risposta seria è che i combustibili fossili vanno abbandonati perché è necessario farlo per frenare il riscaldamento. È anche possibile? La mia risposta è sì. Abbiamo soluzioni adattabili a scale diverse a seconda delle necessità? Sì. Ma c’è un secondo modo di rispondere, che riguarda appunto la politica e l’economia: se applicassimo tali soluzioni, con grande probabilità miglioreremmo le performance economiche e sociali. E miglioreremmo certamente le nostre condizioni di salute e la stabilità sociale. Avremmo meno dipendenza energetica da dittatori e autocrati come Putin. Detto questo, al momento sembra improbabile che si verifichi. Anzi si va nella direzione opposta: lo Stato prende i soldi dei contribuenti per ridurre il costo dell’elettricità. Ma così nessuno sarà incentivato a ridurre i consumi. Come nelle crisi finanziarie si fa il bailout delle banche, ora con la crisi energetica si fa il bailout delle industrie. Questo modo di intervenire non aiuta certo il cambiamento”.
Bene, ci ha convinti. Ma perché non riuscite a convincere i politici?
“È importante anche convincere i mezzi di informazione (ride, ndr). Perché non riusciamo a convincere i politici? Ci sono molte ragioni. Ammetto che la fase attuale è particolarmente turbolenta e che i leader sono alle prese con molte questioni complesse simultaneamente: elezioni di medio termine, proteste per le bollette e per il prezzo della benzina, disoccupazione che cresce. Ma il mio messaggio ai politici è: non abbandonate la nave adesso, non deviate dalle decisioni che avete preso sul clima, non fate marcia indietro. Posso capire che è difficile per loro gestire queste sfide di breve periodo, ma non li scuso. Nella recente campagna elettorale in Svezia la parola clima non è stata mai menzionata: si è parlato di criminalità, inflazione, immigrazione”.
Il vostro rapporto si propone come una “guida di sopravvivenza per l’umanità”. Siamo davvero a rischio estinzione?
“La scienza ci dice che stiamo rischiando di destabilizzare l’intero sistema Terra. E dunque stiamo mettendo in pericolo la nostra capacità di mantenere il mondo moderno così come lo definiamo: capace di dare una vita dignitosa a 9-10 miliardi di persone. Se saremo capaci di attuare le grandi trasformazioni che auspichiamo, le 5 inversioni di marcia di cui parliamo in Earth for All, allora la Terra potrà ospitare e soddisfare le necessità di 8-9 miliardi di persone. Ma questo richiederà una significativa distribuzione del welfare e di altre risorse. In definitiva, se la domanda è: stiamo destabilizzando il sistema Terra? La risposta è sì. Ma se la domanda è: rischiamo di provocare l’eradicazione dell’umanità dalla faccia del Pianeta? La risposta è no. Potremmo però causare difficoltà tremende a tutti noi, non riuscendo più a garantire un livello minimo di vita dignitosa alla maggior parte della popolazione mondiale”.
A che punto sono le conseguenze del riscaldamento globale?
“Poche settimane fa abbiamo pubblicato uno studio in cui mostriamo che quattro punti di non ritorno (sui 16 che abbiamo individuato) potrebbero essere già stati superati o lo saranno a breve, perché ci stiamo avvicinando alla soglia di riscaldamento di 1,5 gradi. Si tratta dello scioglimento della calotta della Groenlandia e della calotta dell’Antartide occidentale, della distruzione delle barriere coralline tropicali, dello scioglimento del permafrost delle regioni artiche. Si tratta di processi che una volta innescati sono irreversibili, perché finiscono per autoalimentarsi. Per esempio, il giaccio della Groenlandia si scioglie per il caldo, ma più si scioglie più diventa scuro per le polveri che contiene e quindi assorbe ancora più calore, inoltre lo scioglimento porta la calotta ad abbassarsi di quota e quindi la sua superficie si trova ad altitudini dove la temperatura è più alta. Una ulteriore causa di scioglimento”.
Con quali conseguenze?
“Lo scioglimento totale delle calotte della Groenlandia e dell’Antartide occidentale significa l’innalzamento dei mari di dieci metri. Non succerà domattina, ma forse tra 2000 anni, però sarà irreversibile. E questa soglia di irreversibilità la raggiungeremo con gli attuali livelli di emissioni nei prossimi 15 o 20 anni. Sono studi scientifici che danno ulteriore forza agli accordi di Parigi che dimostrano quanto sia urgente agire oggi”.
Dobbiamo dare per scontato che supereremo gli 1,5 gradi di riscaldamento?
“Se ne discute molto tra i climatologi. Io sono tra coloro che ritengono sia ancora possibile fermarsi prima, ma per farlo occorrono azioni immediate. Abbiamo ancora una chance, ma siamo molto vicini a perderla”.
Cop27, che si terrà in Egitto da 6 al 20 novembre, può essere l’occasione giusta?
“Spero che la prossima Conferenza sul clima dia una chance al mondo. Ma sono pessimista. Per le turbolenze geopolitiche che scuotono il mondo in questo periodo. E poi perché la leadership egiziana ha fatto intendere chiaramente che vuole focalizzarsi sul loss and damage, cioè sugli aiuti economici che i Paesi ricchi hanno promesso a quelli in via di sviluppo per le perdite e i danni da emergenza climatica. Ci sono casi evidenti e quantificabili in cui i Paesi vulnerabili al global warming vanno aiutati, si pensi al Pakistan appena colpito dalle alluvioni. Ma quando inizi a valutare quali sono e a quanto ammontano i danni climatici apri un vaso di Pandora difficile da gestire”.
Lei è considerato lo scienziato di riferimento di Greta Thunberg e dei Fridays for Future. Per una nuova politica climatica dovremo attendere che entrino nella stanza dei bottoni le ragazze e i ragazzi di oggi?
“Ho grandissimo rispetto per il movimento dei giovani. Tuttavia non possiamo aspettare che arrivino loro al potere. Siamo io e lei, gli attuali leader politici ed economici, la nostra generazione insomma, ad aver causato questi problemi. E sta a noi risolverli”.