I torsi possenti di due pugilatori, il grande scudo flessibile che copre il ventre e si avvolge sul braccio. Poi una testa, gambe e altre parti dei corpi, frammenti di un modello di nuraghe. A pochi giorni dalla ripresa dell’ultima campagna di scavo, avviata il 4 aprile in un terreno nella parte meridionale del territorio di Cabras, emergono nella necropoli nuragica di Mont’e Prama torsi e frammenti di due nuove statue, identificati come “pugilatori del tipo Cavalupo”, per il grande scudo flessibile avvolto davanti al tronco. Sono del tutto simili alle due sculture recuperate a pochi mesi di distanza nel 2014 e attualmente esposte nel Museo civico di Cabras.

Si aggiungono dunque all’esercito in pietra di guerrieri, arcieri e pugilatori di tremila anni fa che ha reso famoso nel mondo il sito archeologico sardo ancora in parte avvolto nel mistero. Un risultato davvero “importante” e che fa sperare in ulteriori sorprese già nelle prossime settimane, ha spiegato la soprintendente Monica Stochino.

Mont’e Prama: gli scavi che hanno portato al ritrovamento dei due nuovi Giganti a Cabras

Entusiasta, il ministro della cultura Franceschini ricorda che il ritrovamento avviene a poco meno di un anno dalla nascita della Fondazione che vede impegnati il ministero della Cultura, il Comune di Cabras e la Regione Sardegna. “Una scoperta eccezionale alla quale ne seguiranno altre”, commenta.

Avviata il 4 aprile, l’indagine sul campo ha confermato la prosecuzione verso sud della necropoli e dell’imponente strada funeraria che costeggia le sepolture. “Per noi la prova che siamo sulla strada giusta”, sottolinea l’archeologo Alessandro Usai, dal 2014 responsabile scientifico dello scavo: “siamo andati a scavare a colpo sicuro in un tratto che ancora non era stato toccato”. Diversi nelle loro caratteristiche dai pugilatori trovati nell’ultima metà degli anni Settanta dopo la scoperta casuale di questo luogo incredibile, i due nuovi giganti, spiega Usai, sono del tipo “Cavalupo” come gli ultimi due riportati alla luce nel 2014, non a caso a poca distanza dall’attuale scavo, che si connotavano proprio per il particolarissimo scudo incurvato. “Una figura rara che ha un modello di riferimento nel bronzetto nuragico conservato a Roma nel museo etrusco di Villa Giulia”, precisa l’archeologo citando il piccolo capolavoro proveniente appunto da una tomba della necropoli di Cavalupo, nella laziale Vulci. 

L’esame accurato, la pulitura e la rimozione dei due grossi torsi – che richiederà tempo per la particolare delicatezza e fragilità della pietra calcarea nella quale sono stati scolpiti – fornirà certo nuovi elementi di studio. Ma intanto già si pensa ad ampliare l’area dello scavo in corso portandola da 10 a 20 metri quadrati. Finanziato dalla soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna con 85 mila euro lordi, il nuovo intervento, fa notare Stochino, ne anticipa un altro più corposo, per 600 mila euro, che coinvolge anche il Segretariato Regionale del MiC e che si aggiungerà al grande progetto per 2 milioni 800 mila euro con i quali si punta a restaurare tutto quello che è stato trovato tra il 2014 e il 2016, così da esporre le nuove statue insieme alle altre nel Museo di Cabras.

Uno dei
Uno dei “Giganti” scoprerti negli anni scorsi, in esposizione al museo di Cabras (ansa)

Un lavoro di squadra che coinvolge professionalità diverse, le università a fianco di soprintendenza e fondazione, antropologi, restauratori, architetti, che si aggiungono agli archeologi. Tutti insieme per trovare risposte ai problemi storici posti da questo speciale cimitero di tremila anni fa, costruito lungo una via funeraria e riservato quasi esclusivamente a giovani uomini, racconta appassionato Usai, spiegando che nelle oltre 170 tombe indagate “mancano completamente anziani e bambini”, mentre sono pochissime le donne. Di certo sui secoli di vita di questo sito, nato intorno al XII secolo a.C, e su quella dei Giganti, che gli storici collocano tra il IX e l’VIII sec. a.C, rimane ancora tanto mistero, come pure sulla loro fine.

Chi erano davvero questi colossi di pietra alti 2 metri e mezzo: custodi ancestrali di un’area sacra, rappresentazione delle funzioni sociali dei defunti inumati, eroi, antenati, simboli identitari di una comunità? E poi perché sono caduti, ridotti in macerie sulle tombe che avrebbero dovuto vegliare: la loro fine fu la conseguenza di una lotta intestina tra comunità locali, fu colpa dei Cartaginesi? Usai spiega di propendere per un’ipotesi ulteriore, quella di una distruzione “naturale”: “la mia opinione è che i Giganti siano caduti via via da soli – dice – tanto più che per come sono stati realizzati erano sbilanciati in avanti”. Il passare del tempo, il sommovimento della terra, le tante coltivazioni intervenute su questo tratto di terra, da sempre preziosa per il grano, avrebbe fatto il resto, riducendo statue, nuraghi e betili, in tanti frantumi che poi si sono rimescolati. Di certo bisogna andare oltre i luoghi comuni, conclude l’archeologo, “qui cerchiamo risposte basandoci sui dati”. E chissà che la nuova stagione di indagini non porti davvero decisive novità.