Salvare le zone umide e gli ecosistemi acquatici. Perché sono un vero e proprio hotspot di biodiversità. E possono diventare strategiche nella lotta al cambiamento climatico. Ma non se la passano bene, anzi. Alla vigilia della Giornata mondiale delle zone umide, in programma domenica 2 febbraio con visite guidate in oasi e riserve di tutta Italia, arriva una fotografia con più ombre che luci. La scatta Legambiente attraverso il focus “Ecosistemi acquatici 2025”: negli ultimi 300 anni – dal 1700 al 2000 – lo Stivale ha del resto già perso il 75% delle zone umide, 57 quelle d’importanza internazionale in Italia, distribuite – piuttosto omogeneamente – in 15 Regioni. E il trend non autorizza ottimismo. A rischio scomparsa, anche in virtù del progressivo e inesorabile innalzamento dei mari, è l’85% delle zone umide, e con loro 4.294 specie su 23.496 animali d’acqua dolce iscritti nella Lista Rossa IUCN, tra cui il 30% dei crostacei decapodi (gamberi, granchi, gamberetti), il 26% dei pesci d’acqua dolce e il 16% degli odonati (libellule, damigelle). Futuro a rischio, complice l’innalzamento del livello del Mediterraneo, aree come le lagune costiere alto-adriatiche (Delta del Po, Laguna di Venezia, Lagune di Grado-Marano e Panzano), il Golfo di Cagliari e la costa fra Manfredonia e Margherita di Savoia. E l’incremento dei periodi di siccità può riflettersi in un declino importante delle aree in Toscana, Umbria e Marche.

Parco del delta del Po a Comacchio
Parco del delta del Po a Comacchio 

Dal Delta del Po a Castelporziano, i luoghi da proteggere

Di qui la giornata di divulgazione e sensibilizzazione che Legambiente propone per domenica con lo slogan “Proteggere le zone umide per il nostro futuro comune”. Riflettori sul Delta del Po, che nel 2022 aveva registrato il peggior periodo di siccità mai riportato e dove l’innalzamento del livello del mare che sta provocando l’inquinamento delle falde acquifere da acqua salata, con gravi ricadute biodiversità, agricoltura e sull’approvvigionamento idrico di intere comunità. E non va meglio sul lago Trasimeno: l’ultima estate ha fatto registrare una riduzione del 40% della piovosità. Ancora: in Basilicata, il lago di San Giuliano – in Basilicata – ha registrato nel 2024 una riduzione dei volumi d’acqua del 60-70%. E in Sicilia, regione chiave sul tema della siccità, non è passato inosservato il prosciugamento del lago di Pergusa, hotspot per centinaia di specie di volatili durante il loro viaggio dall’Africa all’Europa. Problemi anche per le “piscine naturali” della Tenuta Presidenziale di Castelporziano, in provincia di Roma: qui dal 2000 persi sono già stati persi il 43% di questi importanti invasi d’acqua naturali chiusi, con conseguenze importanti sugli habitat di macroinvertebrati, vertebrati e piante rare.

La strategia sulla biodiversità tra ritardi e tagli

Così, alla vigilia della Giornata mondiale delle zone umide, Legambiente – “ricordando i ritardi dell’Italia nell’applicazione della Strategia dell’Ue sulla Biodiversità per il 2030 e della Nature Restoration Law”, chiede al Governo “un serio impegno non solo nella messa a punto di risorse economiche e interventi su prevenzione, mitigazione e adattamento alla crisi climatica, ma anche nella protezione e nel ripristino degli ecosistemi acquatici e delle zone umide”. “Si recuperino i ritardi nell’attuazione della Strategia per la biodiversità al 2030 e della Nature Restoration Law”, dice Stefano Raimondi, responsabile biodiversità Legambiente.

Il paradiso perduto degli uccelli

Molto attiva in questi giorni anche la Lipu: del resto, sono oltre 100 le specie di uccelli, come anatre, aironi, limicoli, ma anche molti passeriformi, che scelgono le zone umide per la nidificazione, per lo svernamento o come tappa nel lungo viaggio migratorio. Addirittura un terzo degli uccelli è direttamente legato alle zone umide almeno per una parte della propria vita. Luoghi come l’oasi delle Soglitelle, nel Casertano, o la Riserva naturale Saline di Priolo, nel Siracusano, sono già oggi particolarmente apprezzati dai birdwatcher. Ma cosa sarà del loro futuro?

Un terzo degli uccelli è direttamente legato alle zone umide
Un terzo degli uccelli è direttamente legato alle zone umide 

Alleato contro la crisi climatica

Così, l’associazione – citando un report dell’Ispra – evidenzia come il 47,6% di questi ambienti sia in “cattivo” stato di conservazione, il 31,7% sia “inadeguato” e solo il 4,7% è in uno stato “favorevole”. Un vero peccato: il nuovo report di BirdLife Europa e Asia Centrale (Lipu in Italia), evidenzia come le zone umide sarebbero un alleato fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici per il loro ruolo nell’assorbimento del carbonio. Si tratta di aree in grado di stoccare 13,22 miliardi di tonnellate di carbonio: vale a dire 48,5 miliardi di tonnellate di CO2. Se ripristinati, ecosistemi come zone umide e foreste potrebbero assorbire 378 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, superando l’obiettivo fissato dall’Unione europea per il 2030. Il maggiore potenziale in termini di sequestro di carbonio lo detengono le foreste, che coprono il 38% del territorio Ue: quelle a latifoglie, conifere e miste possono immagazzinare fino a 9,24 miliardi di tonnellate di carbonio, pari alla quantità di CO2 emessa dagli Stati Uniti in due anni, ma le zone umide, in particolare le torbiere, giocano un ruolo altrettanto importante.

Una nuova agricoltura

“Nonostante l’evidente contributo che ecosistemi come zone umide e foreste possono fornire alla lotta ai cambiamenti climatici gran parte del territorio dell’Unione europea è ancora degradato a causa della deforestazione o cattiva gestione, così come dagli effetti di pratiche agricole intensive anche per la coltivazione di colture bioenergetiche”, annota Claudio Celada, direttore Area Conservazione della natura della Lipu-BirdLife Italia. “L’attuazione dalla Nature Restoration Law tramite i previsti Piani nazionali di ripristino – aggiunge – può consentire di accelerare non poco il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione europea. Anche per questo offriamo al Governo la nostra piena collaborazione alla redazione del Piano nazionale di ripristino”.