All’interno dei crepacci del ghiacciaio Thwaites, la piattaforma più vasta dell’Antartide Occidentale, l’acqua calda provoca un trasferimento del sale all’interno del ghiaccio, il che allarga ulteriormente le fratture e aumenta il rischio di collasso del ghiacciaio. Questo, in sintesi, è quanto emerge da due studi, pubblicati sulla rivista Nature e condotti dagli scienziati del British Antarctic Survey (BAS) e della Cornell University. Il team, guidato da Peter Davis e Britney Schmidt, ha utilizzato il veicolo robotico Icefin, che ha raccolto dati e informazioni al di sotto della superficie ghiacciata per comprendere i fenomeni che guidano lo scioglimento del ghiacciaio Thwaites.
Il lavoro è stato condotto nell’ambito del progetto MELT, che vede la collaborazione di regno Unito e Stati Uniti nel consorzio International Thwaites Glacier Collaboration. I dati, riportano gli esperti, suggeriscono che lo scioglimento del ghiaccio al di sotto della piattaforma sembra più debole rispetto a quanto ipotizzato precedentemente, ma allo stesso tempo il processo di fusione risulta notevolmente più rapido all’interno di crepacci e fessure. I ricercatori hanno inviato Icefin in una regione a 600 metri di profondità, a circa due chilometri dall’area che separa il fondo della piattaforma e il fondale marino.
I dati hanno mostrato la presenza di uno strato d’acqua più fresca in grado di rallentare lo scioglimento del ghiaccio lungo le pareti del ghiacciaio. Confrontando le informazioni ottenute con le misurazioni condotte sulla terraferma e in altri cinque siti al di sotto della piattaforma, gli autori hanno scoperto un rapido ritiro del ghiacciaio, anche se guidato da processi diversi rispetto a quanto ipotizzato finora.
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“Non dobbiamo pensare che il ghiacciaio non sia in pericolo – sottolinea Davis – quando il ghiacciaio e la piattaforma sono in equilibrio, il ghiaccio che si stacca dal continente corrisponderà alla quantità di ghiaccio che si perde a causa dello scioglimento e del distacco degli iceberg. Quello che abbiamo scoperto è che, nonostante piccole quantità di scioglimento, c’è ancora un rapido ritiro del ghiacciaio, quindi il rischio di frattura dell’equilibrio è molto concreto”.
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Dalla fine degli anni ’90, aggiungono infatti i ricercatori, la zona tra la piattaforma e il fondale marino si è ritirata di circa 14 chilometri. Negli ultimi tempi, inoltre, l’oceano vicino a questa regione è diventato più caldo e più salato, con un tasso di fusione di circa due-cinque metri ogni anno, più basso rispetto a quanto precedentemente ipotizzato, ma comunque allarmante. “Questi nuovi modi di osservare il ghiacciaio – conclude Schmidt – ci permettono di approfondire la fusione del ghiaccio non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche di capire quali fenomeni si stanno verificando nelle singole regioni. Conoscere le zone maggiormente vulnerabili è fondamentale per delineare strategie di intervento efficaci”.