Si fa presto a dire “ripristinare”. Portare indietro le lancette dell’orologio, quando si tratta di ecosistemi usati a nostro piacimento, non è così semplice. I tempi per tornare indietro potrebbero essere più lunghi di quanto creduto e potrebbe essere necessaria qualche azione di supporto mirata per recuperare la biodiversità di un tempo. E’ il messaggio che arriva oggi dalle pagine del Journal of Applied Ecology da parte di un gruppo di ricercatori giapponesi interessato a comprendere le dinamiche di recupero delle praterie.

Il punto di partenza delle discussioni di Atushi Ushimaru della Kobe University e colleghi è infatti che stiamo perdendo le praterie. Questi grossi prati, infatti, non sono stati immuni a pratiche di forestazione o di conversione in terreni da sfruttare a scopi agricoli che cambiano profondamente l’ecosistema locale, rendendo difficile se non impossibile ripristinare, anche laddove le intenzioni ci siano, la ricchezza di biodiversità delle vecchie praterie, scrivono gli scienziati. Parte di questa difficoltà sarebbe dovuta al lavoro certosino degli impollinatori, meno efficienti negli appezzamenti di terreno ripristinati. Proprio su questo infatti si è concentrata l’attenzione degli autori giapponesi. Alcune ricerche condotte in passato, anche dagli stessi autori, hanno dimostrato che piantare alberi al posto delle praterie allontana gli impollinatori.

E cosa succede quando le praterie vengono ripristinate (o si cerca di ripristinarle) dopo attività di deforestazione? Per rispondere alla domanda i ricercatori hanno analizzato le relazioni tra piante e impollinatori di vecchie praterie e di biomi ripristinati, come i prati di piste da sci, aree recentemente deforestate. Alcune delle aree ripristinate lo erano state di recente, altre da decenni, spiegano. I risultati hanno confermato le ipotesi dei ricercatori: nelle praterie più “giovani” gli impollinatori erano di meno, meno efficienti e meno specializzati. Sirfidi e mosche dominano le praterie più giovani, rispetto ad api e farfalle, impollinatori più specializzati, in quelle più vecchie. E questo a discapito anche dei prati stessi, meno ricchi di specie vegetali, scrivono Ushimaru e colleghi. Il processo di recupero è lento e graduale, e impiega circa 75 anni e oltre (75 anni era l’età delle più vecchie praterie ripristinate analizzate dagli autori). “Una volte perse le vecchie praterie il loro ripristino non può essere rapido”, riassume in una nota dell’ateneo giapponese Gaku Hirayama, primo autore del paper. Motivo per cui, concludono gli autori, potrebbero essere d’aiuto azioni di supporto, come la semina di piante selezionate, magari da vecchie praterie ancora intatte.