Nel 2009, la ricercatrice Nina Pierpont nel descrivere una serie di sintomi legati all’esposizione al rumore emesso dagli impianti eolici, coniò il termine, sindrome delle turbine eoliche. Disturbi del sonno, mal di testa, nausea, ansia e irritabilità, problemi di concentrazione, erano i sintomi più comuni riferiti dalle persone che abitavano nelle vicinanze di un impianto. Negli anni, con la crescita di questa importante fonte di energia rinnovabile, diversi studi scientifici si sono occupati dell’argomento, senza peraltro validare la tesi di Pieramont.

Sebbene i parchi eolici siano in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, spesso suscitano controversie e disinformazione. Infatti, nonostante l’assenza di evidenze, sono state espresse preoccupazioni sugli effetti di questo rumore sul livello di irritazione, sul benessere psicologico e sulle capacità cognitive; in America in particolare, diversi gruppi hanno continuato a portare avanti l’idea della sindrome come causa di malattie mentali, o altri problemi di salute gravi, come il cancro.

Ma uno degli ultimi studi, condotto da un team di neuroscienziati cognitivi e ingegneri acustici dell’Università Adam Mickiewicz, in Polonia, evidenzia ancora una volta l’assenza di prove sul fatto che il rumore delle turbine eoliche causi disagi a livello mentale.

D’altronde, i livelli di decibel sono piuttosto contenuti. Per fare un esempio: un aspirapolvere genera solitamente un rumore compreso tra 60 e 80 dB, a seconda del modello e della potenza, mentre il rumore di una turbina eolica varia tra 35 e 50 dB a una distanza di 300 metri, paragonabile a un ambiente tranquillo in cui si conversa a bassa voce. Ovviamente, ad alterare il livello di percezione ci sono diversi fattori: la distanza, il vento, il rumore ambientale presente nella zona.

Tornando allo studio, pubblicato sulla rivista Humanities and Social Sciences Communication, il gruppo ha condotto una serie di esperimenti, esponendo 45 volontari, studenti di un’università locale, a vari rumori mentre indossavano dispositivi che misuravano le loro onde cerebrali. La scelta sui giovani è stata motivata dal fatto che ricerche precedenti hanno dimostrato che sono più sensibili al rumore rispetto alle persone più anziane.

“Per lo studio, abbiamo utilizzato registrazioni reali di una turbina eolica per esaminare i loro effetti sulla dinamica delle onde cerebrali, cruciali per compiti cognitivi complessi, nonché sull’attenzione sostenuta e sul ragionamento induttivo in volontari adulti sani. Inoltre, abbiamo valutato soggettivamente lo stress indotto dal rumore delle turbine eoliche e il livello di fastidio percepito”, si legge nella pubblicazione scientifica.

Per non esporre le persone a pregiudizi sulla natura dello studio, a nessuno è stato detto lo scopo dell’esperimento; ognuno è stato esposto al normale rumore del traffico, al silenzio e al rumore delle turbine eoliche. Fatto curioso è che nessuno dei 45 volontari è riuscito a identificare la fonte del rumore delle turbine, che lo hanno definito come rumore bianco, ovvero un tipo di suono caratterizzato dalla presenza di tutte le frequenze udibili con la stessa intensità. Per capire la tipologia di suono, un esempio tipico è il suono emesso dalla tv senza segnale dell’antenna o al fruscio di una radio non sintonizzata. È un tipo di rumore, infatti, che viene usato per mascherare altri suono fastidiosi, come il rumore del traffico o il sottofondo di persone che parlano in un’altra stanza.

Quindi la percezione è di un suono che non crea disagio, tanto che nessuno dei 45 lo ha definito più fastidioso o stressante del rumore del traffico. Inoltre i ricercatori dell’università polacca non sono stati inoltre in grado di rilevare nessuna differenza misurabile nelle onde cerebrali, mentre i volontari ascoltavano i due tipi di suoni.

“I risultati di questo studio pilota mostrano che l’esposizione a breve termine al rumore delle turbine eoliche, con un livello di pressione sonora realistico (65 dB), non ha effetti negativi sulle funzioni cognitive analizzate e non è percepita come più stressante o fastidiosa rispetto al rumore del traffico stradale”. Invece, studi precedenti hanno dimostrato che una fonte prevalente di rumore in grado di influenzare le capacità cognitive è il rumore generato dai condizionatori d’aria, che possono suscitare risposte fisiologiche, influenzando successivamente la cognizione.

Inoltre, l’analisi di diverse scale psicologiche ha evidenziato che fattori come la tendenza alla ruminazione o una ridotta capacità di riflessione e tolleranza all’ambiguità non determinano una percezione negativa del rumore delle turbine, né influiscono indirettamente sul funzionamento mentale” scrivono i ricercatori, traendo conclusioni dalle loro misurazioni e test. Si può sottolineare dunque, che pericoli per la salute mentale non ce ne sono, probabilmente neanche legati ad un’esposizione a lungo termine. Alcuni sintomi, infatti, potrebbero essere spiegati dall’effetto nocebo, ovvero la convinzione che le turbine facciano male, porta le persone a sviluppare sintomi reali.

In Italia esiste una normativa specifica sul rumore, fissata dal DPCM 14/11/1997 che stabilisce i limiti per le emissioni sonore: nelle aree residenziali, può essere al massimo di 45 dB di notte e 50 dB di giorno, mentre nelle aree rurali e industriali i limiti sono più alti. C’è da dire che specie nelle grandi città o comunque nelle zone più vicine alla strada, il rumore può essere anche più elevato, nonostante i limiti normativi.