“La partita da giocare è lunga, ma se riusciamo a convincere gli appassionati di calcio a fare ognuno la propria parte per la salvaguardia della Terra, allora sì che lo sport avrà trovato la sua vittoria più bella”. Sofie Junge Pedersen, 30 anni, non solo è uno dei baluardi della Juventus femminile e della nazionale della Danimarca, centrocampista, ma è testimonial di WePlayGreen2, il movimento ambientalista fondato dal calciatore Morten Thorsby impegnato a coinvolgere la famiglia calcistica globale in azioni green.

Pedersen ha raccolto la sfida e dall’inizio del campionato ha lasciato il suo abituale numero di maglia, il 14, per giocare con il numero 2 e ricordare così il limite massimo dei 2 gradi di aumento della temperatura del Pianeta, fissato dall’Accordo di Parigi per il riscaldamento globale. Una maglia che unisce le sue due grandi passioni, quella per il calcio e per l’ambiente. Entrambi senza confini.

A proposito di numeri iconici, il 22 aprile scenderà in campo con le strisce colorate del professor Hawkins?

“Certo, bisogna usare un linguaggio universale per incoraggiare chiunque ad agire a favore della Terra. I gesti anche piccoli possono replicarsi. Innescare un circolo virtuoso tra noi atleti, i tifosi e i club. I calciatori dovrebbero cogliere le occasioni come questa per coinvolgere i giovani che li seguono con passione. La loro voce potrebbe essere il primo passo per affrontare e cominciare a risolvere la crisa climatica”.


Usare un campo di calcio per salvare il Pianeta. Ma cosa può fare in termini di sostenibilità?

“Il problema principale rimane quello delle emissioni di carbonio dovute alle trasferte. Su questo punto, però, qualcosa si può fare e da subito. Ad esempio, evitando di organizzare i viaggi all’interno della propria nazione in aereo. Ovviamente per le coppe internazionali la situazione è più complicata”.

E quale potrebbe essere il gesto green dei tifosi?

“Anche loro dovrebbero, come noi, accettare la sfida del cambiamento. Ad esempio, evitando di spostarsi per vedere le partite in auto, ma preferire un mezzo pubblico, un autobus, un treno. Magari quel giorno potrebbero anche evitare di mangiare carne, pensando a quale impatto ha il suo consumo sull’ambiente.  Sono gesti piccoli, ma sono milioni le persone che fanno parte della comunità del calcio al mondo”.


Quando le colleghe e i colleghi le domandano ‘ma io cosa posso fare’ cosa risponde?

“Spesso me lo domandavano. Così ho organizzato un incontro con le compagne di squadra mostrando l’importanza delle azioni collettive e individuali per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Sono emerse tante idee. Con loro abbiamo parlato anche della questione di come riutilizzare l’attrezzatura sportiva, le divise soprattutto. Forse, se ne potrebbero usare meno, abbassando le emissioni”.


Lei è stata premiata per il suo impegno a favore dell’ambiente e ha ottenuto tanti successi nel calcio. C’è un sogno che unisce le due passioni?

“Il mondo è più grande del calcio. Penso alle popolazioni che per colpa dei cambiamenti climatici stanno lottando per la propria sopravvivenza. È un momento cruciale per il nostro Pianeta. Bisogna cominciare ad invertire la marcia. Ora. I gesti e le voci dei calciatori, soprattutto di quelli più carismatici, possono far arrivare il messaggio più velocemente attraverso i tanti strumenti di comunicazione. Sono sicura che il mondo li seguirà”.