“Stavo lavorando ad un altra commissione nei quartieri poveri di Lima, in Perù, e ho notato sulle colline delle strane reti verdi, erette sui crinali. Ho chiesto in giro e ho scoperto che i locali le costruiscono per catturare le nuvole e raccogliere l’acqua”. Alessandro Cinque racconta così la genesi di “Atrapanieblas” (letteralmente “acchiappanuvole”), il progetto fotografico con cui ha vinto il Sustainability Prize del Sony World Photography Awards.
Ideato in collaborazione con la United Nations Foundation e l’iniziativa Picture This di Sony Pictures, il premio è stato indetto quest’anno per la prima volta. Lo scopo, spiegano gli organizzatori, è offrire visibilità alle “storie, le persone e le organizzazioni che, con le loro azioni, perseguono uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU”.
Gli acchiappanuvole (o acchiappanebbie) delle foto di Cinque sono strutture costruite con reti ombreggianti sulle colline della capitale, nei quartieri più poveri dove i campesinos delle Ande si stabiliscono, spesso illegalmente, quando si trasferiscono nella grande città per cercare lavoro. Quando le nuvole e la nebbia le attraversano, le reti condensano l’acqua e la convogliano nelle cisterne dalle quali poi viene distribuita alla comunità. Con questo metodo gli abitanti riescono a raccogliere ogni giorno fino a 200 litri d’acqua, che non devono così comprare a caro prezzo.
Nelle invasiòn di Lima
“Il paradosso di Lima è che nei quartieri più ricchi l’acqua costa il giusto. Ma qui, nelle invasión (il nome locale degli insediamenti, nda) il prezzo è molto più alto, perché non ci sono infrastrutture”, spiega Cinque, che nella capitale peruviana si è trasferito nel 2019.
“I più poveri finiscono per dover comprare l’acqua dalle aziende, che la portano in grandi cisterne. Il paradosso è che queste persone vengono da villaggi delle Ande attratti dalla promessa capitalista e neoliberista di uno status economico, e si ritrovano invece a vivere in insediamenti dove si possono comprare la tv o il cellulare ma manca l’acqua, o dove devono comprarsi le verdure che nelle Ande si coltivavano da soli”.
Alla Somerset House, dove abbiamo potuto visitare in anteprima le immagini dei vincitori di tutte le categorie del premio, passiamo in rassegna le foto della serie assieme a Cinque. “Lui è Abel Cruz, gli atrapanieblas che ho fotografato sono una sua idea”, spiega il fotografo mentre ci soffermiamo sul ritratto di un uomo sulla sessantina, seduto contro lo sfondo senza colori del cielo di Lima, “la gris” (la grigia) come la chiamano i locali. “Abel è arrivato con una invasión negli anni ’80, poi ha potuto studiare ingegneria. Mi ha detto che gli acchiappanebbia sono una sua idea, ma so che in realtà non è vero. Per lui però è una questione di orgoglio, perché questa soluzione semplice e sostenibile libera un’intera comunità dal peso economico dell’acquisto dell’acqua”.
L’acqua e la resilienza
In un’altra immagine della serie, molto poetica, si vedono dei crochi nascere alla base di uno degli acchiappanebbia, l’unico posto in tutta la collina dove possono fiorire. In un’altra bellissima foto, si vede uno dei rari orti dell’invasión. “La signora di questa foto ha cominciato a usare l’acqua per coltivare le verdure. Il suo giardino è poi diventato un punto di socialità della comunità, dove le persone si ritrovano per stare insieme”.
Quella raccontata dalle foto di Cinque è una storia di povertà, ma anche di resilienza. Ha la capacità di mostrare, come solo la fotografia sa fare, le contraddizioni del mondo e punta l’obiettivo su uno dei problemi più pressanti che i paesi in via di sviluppo si trovano a dover affrontare: la carenza d’acqua. “È importante far conoscere gli sforzi compiuti a Lima per lottare contro questa carenza, nella speranza che queste storie smuovano le coscienze”, spiega Cinque.
I migranti climatici delle Ande
Il tema della sostenibilità ricorre in tutto il lavoro del fotografo italiano. La sua serie Alpaqueros, scattata sulle Ande, ha vinto da poco il premio regionale del World Press Photo per il Sud America. Nelle foto Cinque esamina come il cambiamento climatico abbia influenzato gli alpaca delle Ande peruviane. Gli alpaqueros, cioè gli allevatori di alpaca, si trovano ad affrontare una minaccia esistenziale al loro metodo di sostentamento tradizionale, poiché i cambiamenti climatici modificano i paesaggi e cambiano i modelli meteorologici. Gli alpaqueros hanno così davanti una scelta difficile: trasferirsi ad altitudini più elevate o abbandonare il loro stile di vita per vivere nelle città a bassa quota, probabilmente in “invasiòn” come quelle di Lima.
“L’Italia è il primo importatore al mondo di lana d’alpaca. Negli ultimi anni gli alpaqueros hanno dovuto svendere la fibra, proprio perché non riescono più a mantenere gli animali come prima. Sono veri e propri migranti climatici, che devono spostarsi per seguire le nuove abitudini dei pascoli, oppure sono costretti a lasciare tutto perché il loro stile di vita tradizionale è ora reso insostenibile dai cambiamenti del clima”.
Vincitori di categoria
I temi della sostenibilità, del cambiamento climatico e delle lotte sociali sono il fil rouge che unisce le opere di tutti i vincitori di categoria.
La fotografa sudafricana Lee-Anne Olwage, vincitrice per la sezione Creatività, ha stupito con i suoi ritratti delle ragazze della scuola Kakenya’s Dream di Enoosaen, Kenya. Il suo lavoro, pieno di speranza e positività, mostra come può essere il mondo di ragazze come queste che hanno avuto la fortuna di scampare alla mutilazione genitale e ai matrimoni forzati.
Il vincitore della sezione Documentario, Hugh Kinsella Cunningham, ha invece mostrato i volti delle donne che si battono per la pace in Congo. I vincitori della sezione Ambiente, infine, sono i sudamericani Monty Kaplan e Marisol Mendez, che hanno toccato, come Cinque, il tema della scarsità d’acqua con la loro serie Miruku.
“Abbiamo inquadrato la storia da un punto di vista femminile per comprendere meglio il rapporto tra disuguaglianza di genere e vulnerabilità climatica”, spiegano i due vincitori. “Abbiamo cercato di evidenziare la forza e l’intraprendenza delle donne Wayuu colombiane, poiché abbiamo trovato stimolante il fatto che, anche in queste condizioni precarie, si siano affermate come leader della comunità, come insegnanti e come attiviste per il clima. Attraverso i nostri dittici volevamo trasmettere un equilibrio visivo tra una documentazione cruda e lirica, e ottenere un ritratto sfumato di una situazione che di sfumature ne ha già mille”.
Vincitore assoluto
Il premio per il vincitore assoluto del titolo “Fotografo dell’anno” viene assegnato dall’organizzazione a uno dei vincitori delle categorie professionali. Il premio quest’anno è andato ad Our War, del fotografo portoghese Edgar Martins, già premiato per la sezione ritratti.
In Our War, Mendes ripercorre la storia dell’amico Anton Hammerl, un fotoreporter rapito e giustiziato il 5 aprile 2011 dalle milizie governative durante la guerra civile libica.
Frustrato dall’impossibilità di ricostruire l’accaduto e di recuperare le spoglie dell’amico, Martins ha deciso di recarsi in Libia personalmente. Entrato nel Paese illegalmente grazie a un contrabbandiere di petrolio, si è subito dovuto scontrare con la difficoltà di lavorare in condizioni così precarie. Rendendosi conto che, da solo, non sarebbe riuscito a svolgere un’indagine approfondita, Martins ha scelto invece di riflettere su una domanda: “Come si racconta una storia senza testimoni, tracce, prove o protagonisti?”.
In Our War, la figura centrale della storia parla attraverso la propria assenza, proponendo una serie di ritratti di persone con cui Hammerl è entrato in contatto o che avevano partecipato al conflitto. Tutti i soggetti sono stati scelti perché avevano lo stesso aspetto, le stesse idee e le stesse convinzioni di Hammerl, oppure perché ricordavano a Martins i diversi momenti della loro amicizia. Il progetto si interroga sui concetti di assenza, documentazione e lutto.
“Trovo che il premio sia meritatissimo”, ha commentato a caldo il fotografo Alessandro Grassani, Sony Ambassador e già vincitore di due premi di categoria del World Photography Award. “Come dico sempre tutti possono imparare a scattare belle immagini, ma la fotografia è altro. La fotografia lavora a un livello di concetto, e l’opera di Martins, con questi livelli stratificati di ricerca e il ruolo dell’assenza è un lavoro eccellente, dall’enorme profondità concettuale”.
Le foto di Alessandro Cinque e degli altri vincitori del Sony World Photography Awards sono in mostra alla Somerset House fino al primo Maggio. Alle loro immagini si aggiungono anche quelle di Rinko Kawauchi, affermata fotografa giapponese a cui è stato conferito il premio Outstanding Contribution to Photography.