Chi ci porterà dall’altra parte del mondo, o anche del paese, quando riprenderemo a viaggiare con una certa continuità? L’industria dell’aviazione civile è infatti alle prese con un problema non esattamente nuovo ma ricorrente: la prevista penuria di piloti. Stavolta è stato innescato dalla crisi pandemica, che ha prodotto un crollo nel fatturato delle compagnie aeree: nel 2020 i ricavi sono precipitati da 838 a 328 miliardi di dollari e i vettori hanno dovuto e devono continuare a fare i conti con pesanti perdite, nonostante il taglio dei costi. Ma anche con un cambiamento di prospettive per i comandanti e i primi ufficiali attuali e per chi, potenzialmente, avrebbe voluto intraprendere un percorso in cabina di pilotaggio.

Quando il comparto riprenderà a girare con performance appena migliori degli scorsi mesi (per una piena ripresa occorrerà infatti aspettare il biennio 2022-2024) la questione verrà completamente al pettine. Anzi, alla cloche. Lo spiega un’indagine dello studio di consulenza specializzato americano Oliver Wyman, con sedi a Londra e New York. Per assurdo, il 2020 horribilis è stato un momento di “tregua momentanea”, come lo ha definito il gruppo di analisti, rispetto allo storico problema della carenza di piloti. Ha come congelato un fenomeno ora pronto a manifestarsi in tutte le sue problematiche. Al netto della domanda e della ripresa del traffico passeggeri, il bisogno di piloti è infatti legato alle ore di volo e al numero di mezzi operativi in un dato momento, ad esempio anche per il commercio internazionale e dunque per il comparto cargo. Le compagnie stanno già rimettendo in servizio i propri jet a ritmi superiori rispetto a qualche mese fa, proprio per stimolare la domanda. Insomma, il problema con i comandanti lo vivremo prima del previsto.

Anche Cnn aveva affrontato pochi giorni fa il tema, precisando come il punto non fosse se il comparto dovesse prima o poi affrontare una mancanza di personale ma quando la questione esploderà. Un quadro forse sorprendente, per chi non segua il settore: lo scorso febbraio le compagnie hanno per esempio operato al 47% appena della capacità pre-Covid (dati Oag e Iata). Com’è possibile che manchino piloti? Eppure, entro il 2025, quando la domanda sarà tornata ai livelli del 2019 e anzi li avrà superati, mancherà all’appello un esercito di professionisti: 34mila unità, quasi il 10% della forza lavoro totale di cui avremo bisogno. Una carenza di cui cominceremo a sentire gli effetti già dal prossimo anno e che è basata su un modesto scenario di ripresa della domanda. Se, come tutto lascia immaginare, la voglia delle persone di viaggiare tornerà a esplodere dopo le campagne vaccinali, l’introduzione di strumenti come il Digital Green Certificate europeo e l’alleggerimento di restrizioni e quarantene, a mancarci saranno addirittura 50mila piloti.

Un problema non solo per l’offerta, le tratte e le destinazioni ma anche per la crescita complessiva del settore, che potrebbe risultare limitata del 10-12% secondo le stime della Cnn. Se a questo si aggiunge che l’aviazione contribuisce per il 4% alla composizione del Pil globale, le conseguenze potrebbero farsi sentire anche in termini di crescita mondiale. Se all’inizio i piloti senza occupazione o quelli che stanno volando meno ore del previsto riusciranno ad attutire la crescente domanda – sono circa 100mila persone in tutto il mondo – c’è anche il rischio, ad esempio, che i piloti più giovani, a fronte di una situazione simile e rischiando di dover aspettare molti mesi per poter essere richiamati in servizio, abbiano scelto o scelgano di dedicarsi ad altro. Neanche in questo caso si tratterebbe di una novità: gli shock globali del passato, per esempio, hanno inciso moltissimo sui candidati piloti. Secondo la statunitense Federal Aviation Administration le certificazioni sono scese fino al 50% per molti anni dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre e poi ancora dopo la crisi finanziaria del 2008/2009. La pandemia non potrà che replicare questo scenario e d’altronde le stime degli analisti già lo confermano: “Data la natura globale di questo shock, riteniamo che dai 25mila ai 35mila piloti attuali e futuri possano scegliere percorsi di carriera alternativi nel prossimo decennio” conferma Oliver Wyman.

Ci sono ovviamente elementi che erano già esplosi in precedenza e che la pandemia ha solo aggravato. In Nord America, mercato di riferimento, la carenza riflette ad esempio un invecchiamento della forza lavoro e una minore platea a cui attingere dall’esercito, per via dell’aumento dei droni e dei velivoli senza pilota. Senza contare l’elevato costo per i brevetti e per il loro mantenimento. Basti pensare che negli anni Ottanta due terzi dei piloti commerciali che portavano merci e persone in giro per il mondo erano ex militari, oggi quella quota è scesa a un terzo. Negli scorsi mesi, per tagliare i costi, molti vettori hanno mandato in prepensionamento i piloti (fino al 10%) oppure sospeso i programmi legati alle accademie e agli addestramenti per i più giovani. Per cui in quella macroregione il fabbisogno di piloti potrebbe toccare 12mila unità entro il 2023, il 15% del totale. Appare chiaro se non scontato che diverse compagnie potrebbero non trovare il numero sufficiente di persone per operare al massimo. Già in passato molte hanno chiuso o rivisto i propri piani proprio per questa ragione, più che per altri motivi: sconfitti dal Far West dei piloti.

Altrove, come in Asia, il problema è invece inverso: aver contenuto meglio la pandemia, insieme all’esplosione di una nascente classe media che è d’altronde un fenomeno epocale, ha prodotto un aumento della richiesta di viaggi aerei che condurrà a un fabbisogno ancora più pesante, da circa 22mila piloti entro il 2029. E se qualcosa potrebbe sistemarsi con lo spostamento di piloti licenziati o disoccupati da altre zone come Europa e America Latina, questo non farà che creare altri buchi in quei mercati. Insomma, i piloti sono merce rara. Lo sanno bene le ricche compagnie del golfo persico che da anni conducono una spietata campagna acquisti fatta di stipendi elevati, abitazioni di lusso e benefit pur di assicurarsi gli esperti comandanti europei, australiani o statunitensi.

Cosa significa per le compagnie e per i passeggeri? Molto. Pochi piloti può ad esempio voler dire meno rotte e minori frequenze per i voli programmati, con un impatto significativo anche sulle dinamiche turistiche, fra le più colpite in questi mesi e per le quali gli amministratori e gli addetti ai lavori sperano in un rapido rilancio. Potrebbero dover scendere a più miti scenari. Le città più piccole potrebbero restare isolate o comunque meno servite, i prezzi potrebbero salire (proprio perché ci saranno meno voli o perché i piloti chiederanno salari più elevati, pur dopo mesi di ricavi azzerati) e a seconda della ripresa dei viaggi d’affari, quelli più redditizi per i vettori.