Lotta al cambiamento climatico e alla povertà, modelli di produzione e consumo responsabili, energia pulita e accessibile, uso consapevole delle risorse naturali sono soltanto alcuni dei 17 obiettivi definiti dall’Onu nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, fondato sull’integrazione e sul giusto equilibrio tra tre diverse dimensioni: ambientale, economica e sociale. Il loro conseguimento rappresenta una sfida che unisce Stati, istituzioni, aziende, società e privati cittadini. Contrariamente ai luoghi comuni e alle false convinzioni ancora molto diffuse, uno dei migliori esempi possibili di economia circolare, considerata tra le soluzioni più efficaci per la salvaguardia del pianeta, arriva dalla filiera bovina italiana, nella quale nessuna componente costituisce un mero scarto.
Ogni parte del bovino, non solo la carne, viene infatti utilizzata, consentendo di realizzare pellami per il mondo della moda, dell’arredamento e dell’automotive, petfood, fertilizzanti e prodotti biomedicali, solo per citare i principali esempi. Affinché ciò sia possibile, però, è necessario che le aziende siano dotate di impianti moderni ed efficienti, con una forte integrazione dei processi industriali, un’attenzione particolare rivolta al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili, oltre che di una capillare rete distributiva. Un esempio virtuoso arriva da Inalca, società del Gruppo Cremonini, leader europeo nella produzione di carni bovine, che da anni si sta muovendo in questa direzione.
Grazie a un percorso di autoproduzione energetica iniziato a metà degli anni ’90, oggi Inalca genera autonomamente quasi il 100% del proprio fabbisogno completo, di cui il 45% da fonti rinnovabili. L’energia deriva da 6 impianti di cogenerazione alimentati a gas naturale, 2 da grassi animali, 4 a biogas ottenuto dalla trasformazione degli scarti agricoli (liquami zootecnici, letami) e industriali (fanghi di depurazione, scarti solidi della macellazione), oltre che da pannelli solari distribuiti su tutti i suoi stabilimenti e aziende agricole.
Gli imballaggi sono realizzati per il 45% con carta riciclata, il 17% con plastica riciclata e il 72% con alluminio e acciaio riciclati, il 99% dei rifiuti vengono avviati a raccolta differenziata, 7 mila tonnellate all’anno di compost sono prodotte dagli scarti di lavorazione e utilizzate come fertilizzante organico, mentre 92 mila metri cubi di acqua vengono depurati e recuperati ogni anno. Numeri significativi, che permettono di quantificare il contributo di Inalca al cambiamento climatico in una riduzione di CO2 pari a oltre 64mila tonnellate non emesse in atmosfera soltanto nel 2021.
La prossima sfida dell’azienda nel campo delle rinnovabili riguarda il biometano, un combustibile avanzato ottenuto dalla raffinazione del biogas in grado di alimentare le macchine agricole e le flotte su gomma per il trasporto delle carni. “Contiamo di autoprodurlo a partire dal 2023 – afferma Giovanni Sorlini, responsabile ambiente, qualità e sicurezza di Inalca – Stiamo già adeguando e modificando gli attuali impianti di biogas al fine di convertirli in biometano”. Proprio in quest’ottica la società del Gruppo Cremonini ha stretto una partnership con Hera, primo operatore nazionale nel settore ambiente, per la costituzione di una NewCo, denominata BIORG, con la finalità di generare biometano.
Sulla scia della pionieristica esperienza avviata dal Gruppo Hera nel 2018 a Sant’Agata Bolognese, verrà ristrutturato un sito nel modenese, a Spilamberto. Grazie a un investimento di 28 milioni di euro l’impianto sarà dotato delle migliori tecnologie disponibili per la trasformazione di rifiuti organici e reflui agroalimentari in biometano 100% rinnovabile e compost, con l’obiettivo di una produzione attesa nel 2024 di 3,7 milioni di metri cubi all’anno. Inalca, che ha recentemente pubblicato la settima edizione del Bilancio di Sostenibilità, conferma così il suo concreto impegno in favore dell’ambiente, fornendo un esempio virtuoso di filiera integrata e di economia circolare.