Pensate a un animale iconico che rischiamo di perdere a causa dei cambiamenti che l’uomo ha inflitto al pianeta: probabilmente, con in mente le foto di esemplari emaciati che si spostano a fatica su piccoli pezzi di ghiaccio, molti di voi risponderanno l’orso polare. E se vi dicessero che anziché spingere per aumentare la protezione di questa specie, attraverso specifiche convenzioni internazionali, una delle principali associazioni ambientaliste del mondo – il WWF International – ha lavorato finora per opporsi alla sua protezione totale, muovendosi invece nella direzione di mantenere il commercio delle pelli di orsi?

Viene immediato immaginare che in molti griderebbero allo scandalo: un po’ quello che sta succedendo dopo che The Guardian, con una inchiesta durata diversi mesi, ha rivelato proprio il fatto che il WWF stia avallando “il commercio di pelle di orso polare”, sostiene il giornale britannico.

Perché la pelliccia degli orsi polari non si ghiaccia

Eppure, non tutto è come sembra, dato che la scelta del WWF “è legata alla scienza e a sostenere le comunità locali”, affermano dall’organizzazione ambientalista. Ma per districarsi fra quanto rivelato recentemente dal Guardian e per capire il perché di alcune posizioni del WWF, per poi farsi una propria personale idea sul tema, bisogna fare per forza un passo indietro.

Cosa minaccia il futuro degli orsi

Gli orsi polari, lo sappiamo, sono in estrema difficoltà: vivono in poche aree del mondo, nell’Artico, soprattutto in Canada (che ospita il 60% delle popolazioni), Stati Uniti, Russia, Groenlandia e Norvegia. In questi Paesi gli orsi hanno vissuto più problematiche nel tempo: fino agli anni Sessanta per esempio il problema principale legato alla loro sopravvivenza era l’impatto della caccia.

Successivamente però in tutti gli Stati, tranne il Canada, sono scattati divieti di uccidere orsi a fini commerciali: in Canada però, per garantire sussistenza e tradizioni di alcune comunità locali, è ancora permesso, anche se seguendo una precisa regolamentazione. Nel frattempo gli effetti delle costanti emissioni antropiche hanno terribilmente accelerato il riscaldamento globale: ben presto il principale problema per la vita degli orsi è diventato così il cambiamento climatico che porta alla perdita di ghiaccio, la frammentazione degli habitat, la scomparsa di specie e di conseguenza l’impossibilità di cacciare e nutrirsi per moltissime popolazioni di orsi. Per questo, nonostante una parziale ripresa del numero di orsi polari dopo i divieti di caccia nel mondo, in alcune aree (per esempio proprio in zone del Canada) i numeri sono calati anche del 40%.

Ad oggi, anche se le cifre sono controverse perché difficili da mappare, la IUCN (Unione internazionale per la Conservazione della Natura) stima che esistano circa 26mila esemplari in tutto il mondo, altri studi invece parlano di poco più di 20mila orsi. La maggior parte delle ricerche parla però chiaro: a causa della crisi del clima, senza azioni di mitigazione che possano portare a un reale cambiamento nel tempo, entro fine secolo tutte le popolazioni di orsi polari rischiano di scomparire.

Attualmente, sempre secondo IUCN, gli orsi bianchi sono nella categoria “vulnerabili” al rischio estinzione, sempre per via principalmente degli effetti del global warming. Per questo molte associazioni ambientaliste, WWF compreso, da tempo usano le immagini degli orsi polari come simbolo della biodiversità che stiamo perdendo.

Fatte queste premesse si apre ora un altro capitolo, quello sul commercio delle pelli di orsi polari che vengono ancora cacciati in Canada. In media, scrive il Guardian, si stima “che tra 300 e 400 pelli l’anno vengano esportate”, soprattutto in Cina o nei mercati asiatici, dove una pelle di orso può essere venduta anche a 57mila euro, usata per pellicce, tappeti o abiti il più delle volte. Quel commercio, relativo all’esportazione e vendita delle pellicce, non è vietato.

Cosa dice il regolamento CITES sugli orsi polari

Mentre ogni Paese ha i suoi vincoli e leggi sulla caccia, commercio dei prodotti interni e altre questioni, sul commercio internazionale entra in gioco il regolamento CITES (Convention of the International Trade in Endangered Species), l’organizzazione globale che regola il commercio di specie in via di estinzione. Il CITES funziona per Appendici: le parti di specie minacciate inserite nell’Appendice I (quella in cui di solito si considerano popolazioni di cui restano meno di 5000 esemplari) non possono essere in alcun modo commercializzate. Discorso diverso invece per l’Appendice II, dove le specie possono essere commercializzate ma sono necessari permessi di esportazione e importazione, legati a pareri scientifici relativi al CITES. Gli orsi polari sono indicati all’interno dell’Appendice II ma, da diversi anni, alle Cop in cui i Paesi si riuniscono per prendere accordi su leggi e protezione, paesi come Stati Uniti, Russia e altri, chiedono la fine totale del commercio di pelli e parti di orso, spingendo per inserire i plantigradi dell’Artico nell’Appendice I. A questo, sostiene con la sua inchiesta il Guardian, si oppone il WWF.

Le accuse al WWF: “Sostiene il commercio delle pelli di orsi”

Il fatto che il WWF non abbia mai spinto per il passaggio all’Appendice I è noto da tempo: la posizione dell’associazione animalista è infatti quella, in sunto, di considerare come vera minaccia per gli orsi la crisi del clima e la perdita di ghiacci e non il commercio legato alle uccisioni in Canada, perché quest’ultimo se gestito e regolato da leggi può essere visto come una risorsa necessaria per le piccole comunità locali e il mantenimento delle tradizioni native. In sostanza, qualcosa di sostenibile. Una visione che il Guardian racconta però come paradosso non tanto per la posizione del WWF, ma per il tentativo dell’associazione ambientalista continuo negli anni, soprattutto durante i vertici CITIES, di opporsi al passaggio all’Appendice I, ovvero la protezione totale.

“Il WWF ha fatto pressioni in modo costante per la continuazione del commercio di pellicce di orso polare canadese. Nella sua dichiarazione di posizione, ha riconosciuto che potrebbe esserci un calo significativo della popolazione di orsi polari nei prossimi decenni, ma ha affermato che il commercio non è una minaccia significativa per la specie” scrive il Guardian aggiungendo che sia “nel 2010 che nel 2013 durante le riunioni della CITES il WWF si è opposto alla concessione della protezione totale agli orsi polari” raccomandando “ai partiti di non votare per un divieto totale, sostenendo che gli orsi polari non soddisfacevano ancora i criteri per tale divieto”.

La posizione già ribadita nel 2013 dal WWF era esplicita e il Guardian precisa che anche oggi “questa visione persiste” sottolineando però come l’organizzazione del Panda al contrario “abbia fatto pressioni per esempio contro la concessione della piena protezione ai sensi della CITES per altri animali come elefanti, ippopotami, giraffe e rinoceronti”.

In tutto ciò il media britannico cita poi guide locali e residenti canadesi che indicano come per avere fonti di reddito si potrebbero percorrere altre strade, per esempio basate sui safari animali, anziché commercializzare parti di orsi, e ricorda come oltre alle posizioni di Stati Uniti, Russia e altri Paesi ci siano oltre 80 Ong che si oppongono alla visione del WWF sulla questione orsi polari.

La replica del WWF: “Seguiamo la scienza e ascoltiamo i bisogni delle comunità locali”

Il WWF dal canto suo replica alle accuse sostenendo la sua posizione, ovvero quella che vietare il commercio internazionale danneggerebbe mezzi di sostentamento tradizionali delle comunità indigene e locali e che a rifiutare l’idea di inserire gli orsi nell’Appendice I “ci sono anche le raccomandazioni della IUCN, dell’ong Traffic, del Pew Environment Group o del segretariato CITES” Una posizione che Gianluca Catullo, Habitat&Species program manager del WWF Italia, prova a sintetizzare a Green&Blue nel tentativo di fare chiarezza. “Abbiamo letto quello che c’è scritto nell’inchiesta. Ma devo anche dire che non tutti i numeri tornano: per esempio sono andato sul sito CITES, dove sono scaricabili i dati relativi ai traffici relativi all’orso polare, e sono molto più bassi rispetto a 300-400 orsi uccisi ogni anno di cui parla il Guardian. Detto ciò vorrei ricordare che noi facciamo conservazione e nel farlo seguiamo le indicazioni della scienza. Oggi la scienza dice questo: gli orsi sono vulnerabili e lo sono per la crisi del clima, non per numeri limitati di prelievi. Questo lascia aperta la strada a un numero minimo di prelievi per garantire la sussistenza delle comunità locali e di utilizzi tradizionali. Fare conservazione significa anche farlo coerentemente con le esigenze e gli usi dei popoli nativi, almeno finché la scienza ci dice che è fattibile. Se in futuro la ricerca dirà che anche solo rimuovere un singolo orso potrebbe minacciare la sussistenza dell’intera specie, allora ovviamente cambieremo subito posizione. Ma finora siamo semplicemente stati pragmatici: lavorando con le comunità che manifestavano l’esigenza di pochi prelievi, e non entrando questa necessità in conflitto con obiettivi di conservazione della specie, abbiamo sostenuto una posizione secondo noi coerente sia con l’attuale stato dell’orso, sia con le richieste delle comunità native”.