“Sono sostanzialmente ‘cortine di morte’, racconta il sub Walter Bernardis, citando il titolo “Curtain of Death”, del romanzo di W. E. B Griffin sulla nascita della cia, mentre la punta del suo gommone zodiac accosta una delle reti appena installate al largo delle rive della costa orientale sudafricana.

Simili strisce di rete metallica, lunghe quasi 200 metri (200 iarde), sono state collocate al largo delle spiagge per proteggere i bagnanti dagli attacchi degli squali. Sollevando le inevitabili proteste degli ambientalisti, che spiegano come queste reti intrappolino qualunque animale di grandi dimensioni provi ad avvicinarsi alla costa: non solo squali, ma delfini, dugongo, tartarughe e le stesse balene. “Un sistema ‘passivo’ – prosegue Bernardis ex insegnante che oggi porta i turisti a contatto visivo con i grandi predatori, tale per cui qualunque essere vivente di grandi dimensioni ci infili la testa muore”.

Sudafrica. La rivolta green contro le reti antisquali: “Uccidono anche i delfini”

In Sudafrica, gli squali si sono conquistati la loro attuale cattiva fama a particre dagli anni 50, quando una serie di attacchi mortali indusse la popolazione locale a disertare le già allora popolari spiagge bianche della provinca di Kwazulu-Natal, che oggi attirano oltre 6 milioni di visitatori l’anno. Come in altre aree del pianeta, la saga firmata Spielberg, apparsa dal 1975 ha ravvivato questa paura, diffondendo un’immagine degli squali – quella di mangiatori di carne umana – che è sostanzialmente inesatta.

Recenti episodi di attacchi in diverse aree del pianeta hanno indotto l’industria turistica della provincia a trovare un rimedio capace di tranquillizzare i bagnanti. Oggi, 37 spiagge dell’area sono attrezzate con reti e “linee di batteria” anti-squalo, che si estendono complessivamente per oltre 300 chilometri, sia a Nord che a Sud della capitale della provincia, Durban. Le reti hanno sortito l’effetto sperato. I turisti hanno ripreso a frequentare in massa le spiagge del Kwazulu-Natal, frenati semmai in parte dalle limitazioni da Covid.

Ad alimentare la polemica sull’opportunità del progetto – tuttavia – contribuiscono i dati statisitici. Nella provincia non si registrano casi di attacchi mortali di squalo da 67 anni – secondo il KwaZulu-Natal sharks board, un’associazione finanziata con soldi pubblici, il che indurrebbe a ritenere che gli attacchi agli umani dei grandi predatori siano perlomeno rari: 100 in tutto (letali e no) nel mondo nel 2019. Ancora, la dieta degli squali non include carne umana, ma altri pesci, foche e calamari. Infine, spiegano gli ambientalisti, solo 5 delle centinaia di specie sono potenziali minacce per l’uomo.

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Le reti, invece, hanno costi molto pesanti. Almeno 400 squali soffocano ogni anno per essere rimasti troppo a lungo nelle trappole. Ma al Kzn sharks board non sono d’accordo. “Nel 2019 abbiamo ‘preso’ 690 squali – spiega Matt Dickens, che dirige la ricerca nell’associazione -, molti sono stati liberati vivi” e aggiunge che la pesca commerciale, nel solo Sud Africa, ne uccide in quantità dieci volte superiori.

Sul fronte opposto, Gary Snodgrass, guida nelle immersioni shark watchin racconta di essere stato costretto a cambiare il nome commerciale di alcuni dei tour che organizza perche gli avvistamenti di certe specie sono diventati rari. “Non possamo più parlare di ‘squalo tigre dive’ perché ormai li vediami molto raramente, il loro numero si è ridotto enormenente”.

A livello globale, le popolazioni di squali sono minacciate dalla distruzione del loro habitat, dalla pesca e dal commercio delle pinne, ambite in molti mercati. Gli uomini uccidono mediamente 100 milioni di squali, secondo uno studio che risale al 2013. Oggi 8 specie sono protette dalla CITES, la convenzione internazionale sul commercio delle specie a rischio.

Ciononostante, il grande predatore marino non ha ancora conquistato la “simpatia” di un’opinione pubblica che lo associa all’immagine terrificante delle sue fauci spalancate e dei denti aguzzi e taglienti. Gli scienziati e i naturalisti, invece, sottolineano l’importanza del grande predatore nell’ecosistema marino come naturale strumento di controllo delle popolazoni ittiche “inferiori” a livello di catena alimentare.

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C’è poi un altro aspetto, quello della stessa efficacia delle reti, in particolare rispetto alle specie di grandi dimensioni. Molti subacquei hanno raccontato di aver visto diversi pesci capaci di nuotare sotto le reti – profonde appena 6 metri, introducendosi nei fondali teoricamente loro proibiti. Secondo molti di loro, squali ed altri animali marini finiscono intrappolati nel loro viaggio di ritorno verso le acque profonde. Reti e batterie danno ai bagnanti un “falso” senso di sicurezza, oltre a diffondere l’idea “che gli squali sono pericolosi, racconta Jean Harris, che dirige il gruppo conservazionista sudafricano “Wild Oceans”. Quello che deve cambiare, conclude, “sono le nostre teste”.