È il tempo di decidere, ma senza ideologie. Non si può più rimandare: la situazione è radicalmente cambiata rispetto a 25 anni fa, ora bisogna stringere un nuovo patto con gli abitanti delle valli, perché se non saranno loro per primi ad accettare l’orso, allora in Trentino in futuro per questo animale non ci sarà più spazio”. Il regista Andreas Pichler si dice seriamente preoccupato per la convivenza, sempre più complessa, fra uomini e plantigradi sulle Alpi. Il 26, 27 e 28 agosto uscirà nei cinema italiani il suo film-documentario, “Pericolosamente vicini”, un progetto nato ancor prima delle recenti tragedie in Trentino proprio con l’obiettivo di “ascoltare più voci, di raccontare come viene vissuta la convivenza”, testimoniando come la tolleranza dei residenti fra le valli trentine sia ormai arrivata al limite.

“Serve una risposta univoca, non più divisioni. E serve valutare caso per caso, orso per orso, o non ne usciremo” dice Pichler. Con lui, già regista di The Milk System o Teorema Venezia, abbiamo analizzato la radice di un problema che sembra non avere fine: pochi giorni fa è stato uccisa anche l’orsa Kj1 su ordine del presidente della Provincia Maurizio Fugatti, nonostante l’opposizioni dei giorni prima da parte degli ambientalisti.

Fra meno di un mese uscirà il suo film “Pericolosamente vicini” che racconta proprio il rapporto tra uomo e plantigradi sulle Alpi. Che effetto le ha fatto la notizia dell’abbattimento di Kj1?

“In questi giorni sono in viaggio e non sempre riesco a seguire le notizie del Trentino. L’uccisione di ogni animale mi fa male, ma non possiamo nemmeno nascondere che la questione di come questi animali vadano gestiti debba essere urgentemente affrontata. Bisogna però valutare ogni singolo caso e su Kj1 personalmente non ho abbastanza elementi per esprimermi”.

Quando e come è nata l’idea di un documentario sulla convivenza con gli orsi del Trentino?

“Il film è nato ormai quasi quattro anni fa. Le tematiche alla ribalta negli ultimi due anni erano già sul tavolo prima, anche se con meno emotività rispetto a dopo la morte di Andrea Papi. Quattro anni fa c’era ancora una accettazione relativamente alta dell’orso in Trentino: dopo la morte del runner però – una vicenda che è al centro del film – tutto è cambiato. Il film tenta di raccontare proprio i vari punti di vista”.

Venticinque anni fa grazie al progetto Life Ursus vennero reintrodotti una decina di esemplari. Oggi, tra adulti e cuccioli, si ipotizzano quasi 120 orsi. Cosa significa per il territorio?

“Con quello che è successo, la storia di JJ4 e la morte di Andrea Papi, la cornice narrativa di questi venticinque anni è ovviamente cambiata. Il film tenta di raccontare tutto il processo del progetto, per esempio anche le storie dei forestali che ai tempi erano dei giovanissimi, entusiasti per quelle reintroduzione. Oggi sono ancora persone che amano gli animali, per certi versi degli eroi che hanno contribuito a salvare una specie che stava scomparendo, ma ora si trovano ad affrontare un problema. Come dice uno di loro: sono fra l’incudine e il martello, tra chi li accusa di non gestire e chi li chiama amazzaorsi. Il film è corale: parla della gestione tecnica ed emotiva, dei sentimenti talvolta contrastanti della popolazione locale, dei contadini e agricoltori, degli animalisti”.

C’è una soluzione?

“Tutte le voci vanno prese sul serio, ma non c’è una soluzione facile e unica. Per provare a trovarne una, di certo non bisogna passare per le ideologie: non si può pensare né di abbattere tutti gli orsi, né che restino tutti lì come adesso continuando a moltiplicarsi. Una cosa è certa: la rimozione e la captivazione permanente di un orso selvatico non è la soluzione, al contrario di quanto spesso viene detto da alcune associazioni”.

Perché?

“Perché con questo sistema, che tra l’altro è costoso e complesso, si fa male soprattutto agli orsi. Nel film racconto anche la storia di uno dei primi orsi problematici reintrodotti in Trentino: fu catturata e rimossa dal territorio, portata in un santuario nella Foresta Nera in Germania, lo stesso dove finirà JJ4. I gestori sono animalisti, che gestiscono però soprattutto animali che vengono da situazioni terribili come i circhi. Loro per primi si sono resi conto che invece captivare un orso selvatico e poi portarlo lì vuol dire fargli del male: tutt’ora l’orsa portata anni fa nel santuario continua a voler scappare, allontanarsi”.

Quindi rimangono solo abbattimento o convivenza?

“Sì, ma con gestione. Gestire vuol dire informare tanto le popolazioni locali. Su questo c’è stata finora una lacuna enorme, che va ancora colmata. Io credo che una gestione sia possibile, ma penso anche alla densità di orsi in alcune zone, come la Val di Sole, che è ormai troppo alta. Con il trauma della morte di Papi e la densità crescente la popolazione è sempre più in allarme. Le persone non si sentono più a casa e questo non va bene, perché significa che non accettano più l’orso come presenza. Quello che ne segue rischia di essere il bracconaggio, come in passato accadde anche in Austria. Il che potrebbe portare a far scomparire gli orsi. E anche questo non va bene. Dunque ci vuole un nuovo contratto con la popolazione locale, bisogna tutti insieme ritrovare l’equilibrio”.

La politica può aiutare a ritrovare questo equilibrio?

“Finora per la politica la questione orsi è stata una patata bollente. E poi troppa confusione, troppe voci, troppi modi di venderla diversamente. Il che è un problema quando invece sarebbe necessaria una gestione urgente e una voce chiara. Le indecisioni e le divisioni portano all’esasperazione: oggi in Trentino stanno già raccogliendo centinaia di firme per togliere completamente gli orsi. Non succederà mai, ma è sintomo di una esasperazione fra i residenti. Tra queste persone, che ho intervistato anche nel film, c’è gente che fino a pochi anni fa parlava invece di possibile convivenza con l’orso”.

Infine, cosa spera che il film possa lasciare agli spettatori?

“La cosa più importante è che la gente ascolti tutte le parti coinvolte e comprenda che le soluzioni non sono facili. Bisogna capire per esempio che vivere in città è un altra cosa che avere l’orso dietro casa, che non si può giudicare da lontano. Tutti vogliamo che ci siano più animali e più biodiversità, ma nel mondo antropizzato in cui viviamo una gestione è di fatto necessaria. E questa gestione è quella che dobbiamo provare a trovare. Chiedetelo ai forestali stessi: sono i primi ad amare gli orsi, ma anche quelli che sanno che devono essere in qualche modo controllati”