Lo sviluppo delle auto elettriche porta con sé investimenti ingenti in tutto il mondo e tra i vari Paesi è accesa la concorrenza per attirare insediamenti produttivi (non solo per la realizzazione dei veicoli, ma per il settore delle batterie e per la realizzazione dell’infrastruttura di ricarica) e tecnologici.
Lo studio sugli investimenti
A questo proposito, lo studio di T&E Transport & Environment, organizzazione ambientalista indipendente, ha effettuato una mappatura del flusso dei capitali investiti tra il 2021 e il 2023 per capire quali sono i Paesi e le aree più appealing presso le case automobilistiche. È emerso che solo il 20% degli investimenti in Europa provengono da industrie extraeuropee, mentre in Nord America gli investimenti stranieri sono al 65%.
Non solo. Nel triennio considerato, il Vecchio Continente si è assicurato il 26% degli investimenti globali, mentre la fetta più consistente (il 37%) è stata assorbita da Stati Uniti, Canada e Messico. E questo sebbene il Nord America sia una regione con volumi di produzione di veicoli elettrici minori rispetto a quelli europei. T&E invita l’Europa a contrastare questa tendenza ponendo fine all’incertezza sull’obiettivo di emissioni zero per le autovetture fissato per il 2035, e adottando una forte politica industriale per costruire la sua catena di approvvigionamento per la mobilità elettrica.
I limiti del nostro Paese nella competizione globale
Non solo. Fra le grandi economie europee, l’Italia è il fanalino di coda, mentre in testa c’è il Regno Unito, seguito dalla Spagna. “La normativa ha sempre guidato e sostenuto gli investimenti nella mobilità pulita. Ora l’Europa sta rimanendo indietro a causa di un’assenza di target di riduzione delle emissioni di CO2, per quattro anni, tra il 2025 e il 2030”, racconta Andrea Boraschi, direttore dell’ufficio italiano di T&E. “Per ribaltare questa situazione, e garantire crescita industriale e posti di lavoro, il primo passo è di porre fine a ogni incertezza sull’obiettivo dell’Ue di auto a emissioni zero per il 2035”.
Per Boraschi, “le crociate contro la mobilità elettrica si traducono solo nel rimanere ai margini del flusso degli investimenti: un modo pressoché infallibile, purtroppo, per mettere a rischio decine di migliaia di posti di lavoro e un’industria che vale oltre il 5% del nostro Pil”.