Salita sul Carso, ha ascoltato tutte le voci: sia gli ululati nella notte, sia le preoccupazioni di residenti e allevatori. Poi ha approfondito grazie a ricerche nelle università, dialoghi con gli scienziati, lo studio e alla fine ha tracciato – condensandolo in un romanzo di amori e avventure – il difficile rapporto dell’uomo con un animale in Italia ancora poco conosciuto: lo sciacallo dorato. Sara Segantin, giovane scrittrice e naturalista di 26 anni, ha da poco pubblicato un nuovo libro intitolato Il Cane d’oro (Rizzoli).

Nota per il suo impegno di attivista in Fridays For Future Italia, così come per il suo ruolo da divulgatrice nella trasmissione di RaiTre, Geo, questa volta Segantin ha deciso di raccontare attraverso le imprese del personaggio di Camilla, studentessa animalista che insieme ai suoi tre amici Tom, Elisa e Max è determinata a salvare cuccioli di sciacallo da un bracconiere, una storia che rimette al centro il complesso dibattito sulla convivenza fra umani e animali selvatici.

Un libro in cui emerge – anche alla luce dei recenti fatti di cronaca dell’orsa JJ4 – come sia sempre più necessario “ricostruire il rapporto fra noi e la natura selvatica e per farlo servono relazione e confronto”, spiega la scrittrice raccontando come è nato il suo nuovo impegno.

Non solo orsi e lupi, ma anche sciacalli. Perché hai scelto questi animali come protagonisti del tuo nuovo libro?

“Per il grande dibattito che c’era attorno a loro nel Carso. Qui ognuno aveva una opinione diversa, su quello che potremmo definire il fantomatico sciacallo dorato, di cui alcune persone non conoscevano nemmeno l’esistenza mentre altre ne avevano fatto una ossessione d’odio o d’amore. Ho passato mesi a cercare testimonianze, a restare le notti sul Carso ad ascoltare gli ululati, a parlare con gli allevatori. Volevo capire il dibattito e da qui l’ho trasformato in libro. Tutto nasce dalla ricerca sullo sciacallo dorato e poi diventa una storia per adulti e ragazzi. Sull’argomento c’erano così tanti punti di vista o notizie discordanti che la cosa mi ha incuriosita e spinto a scriverne”.

Oggi cosa si sa di questa specie presente in Italia?

“Lo sciacallo dorato per vari fattori, tra cui ai tempi la decimazione dei lupi che sono suoi antagonisti, è arrivato dai Balcani nel 1984. È un animale timido, che si vede pochissimo, ci sono persino ricercatori che lo studiano ma non lo incontrano quasi mai. In Italia inizialmente c’era una scarsa diffusione solo in Friuli Venezia-Giulia. Poi nel 2017 ha iniziato ad espandersi e quando è arrivata la pandemia, con autostrade o ferrovie meno utilizzate dall’uomo, si è mosso sempre di più e adesso si trova in diverse regioni d’Italia e si contano circa 300 esemplari”.

Che ruolo ha lo sciacallo nel tuo romanzo?

“Spesso si parla di biodiversità o di selvatico pensando che gli animali siano tutti belli quando però sono sicuri, magari dall’altra parte delle sbarre dello zoo, solo da guardare, oppure nei documentari. Quando però si tratta di convivere davvero con animali che talvolta avevamo dimenticato non siamo più abituati a farlo in questo mondo urbanizzato. Per questo, attraverso una storia avventurosa, di umani e animali, di amori e di bracconaggio, con tante prospettive diverse, ho provato a fornire punti di vista sullo sciacallo e sul rapporto con il selvatico, sguardi sia scientifici che emozionali. Il suo ruolo è anche farci ragionare”.

Perché anche con questa specie poco conosciuta la coesistenza è difficile?

“Nel Carso triestino e nel goriziano ci sono due dimensioni: una è culturale, con lo sciacallo che si porta dietro una eredità narrativa terrificante, non è mai il buono della storia. Da articoli sensazionalistici a dicerie viene sempre visto come negativo. La seconda è che mangiando carogne, ma anche granturco e ciliegie, ci sono stati casi di predazione di animali in cui la responsabilità è stata incerta, con alcuni allevatori che hanno preso di mira proprio gli sciacalli. Essendo meno affascinante del lupo, nei confronti di questa specie è nata anche una sorta di odio che porta a una convivenza complessa, nonostante non ci siano molte prove di suoi possibili impatti”.

Cosa si può fare per migliorare la convivenza con gli animali selvatici?

“Oggi si reagisce molto di pancia. La relazione con la natura viene spesso vista come un qualcosa da sfruttare finché non ci dà fastidio. Questo può avere vari livelli, dall’eventuale incontro ravvicinato alle piccole predazioni di polli nei pollai. Se non riusciamo a ridefinire il nostro concetto di convivenza come correlazione e coesistenza allora non si troverà una via d’uscita. Per poterlo fare dobbiamo abbandonare idealismi e puntare a pratiche concrete: hai gli allevamenti? Devi avere i cani da pastore. Nelle zone in cui ci sono animali selvatici, da orsi a lupi, per tutti servono indicazioni chiare: sapere che gli incontri sono possibili, come e quando comportarsi. Servono più radiocollari, informazioni. Per esempio sugli sciacalli: non sono pericolosi per l’uomo, però potrebbero esserlo per altri animali, da proteggere con le dovute precauzioni, che vanno diffuse”.

Quale, fra i messaggi che lasci nel romanzo, ti sta più a cuore?

“Nel libro non fornisco né verità né risposte. Metto sul piatto tante prospettive che si  confrontano con una realtà dinamica e in evoluzione, ovvero il nostro rapporto col mondo naturale e la necessità di ricostruirlo. L’unico messaggio è che per ricostruire relazione serve proprio relazione e confronto: sentire tutte le voci sul campo per proteggere una biodiversità da cui dipende la nostra esistenza. Una cosa che mi è piaciuta fare, nel libro, sempre senza umanizzarlo, è provare a raccontare tutto questo anche dal punto di vista dello sciacallo: come vede, come sente e come si muove, in modo da aiutare le persone a pensare quale potrebbe essere la prospettiva animale. Altrimenti facciamo davvero fatica a capirla e a relazionarci con lui”.